Ascoltare significa…

Estratto da :  “L’arte di andare avanti”  di Jorge Bucay –  Ed. Rizzoli Etas

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Abbiamo due orecchie e una sola bocca
per ricordarci che dobbiamo ascoltare il doppio e
parlare la metà.                                   Talmud

 

Il passo successivo del nostro cammino verso il cambiamento e il miglioramento si può semplicemente sintetizzare con queste parole: “impara ad ascoltare“. E a un primo impatto non dovrebbe sembrarci neanche tanto difficile. Tuttavia per molti di noi non sarà così semplice. […] Siamo nati e cresciuti circondati da presunti “tuttologi” che credono di sapere tutto e che devono diffondere racconti di eroi o incredibili gesta che appartengono solo a loro. Siamo troppo abituati a incontrare a ogni angolo della città una persona innamorata del proprio discorso.
Questa è la ragione per cui la maggior parte delle persone con cui ho avuto a che fare, per compiere questo passo, dovrebbe incominciare con un gesto che, per quanto banale, è stato poco esercitato e quasi mai insegnato. È necessario “iniziare” ad ascoltare.

Ascoltare significa ASCOLTARE.
E non solo fare una pausa nel discorso e permettere che, mentre recupero il fiato, l’altro possa pronunciare un paio di parole.

Ascoltare significa ASCOLTARE.
E non si tratta di un’attenta e selettiva ricerca nei discorsi altrui delle parole che mi servono per agganciare “con arte” il mio argomento. Come se una conversazione dovesse essere un incontro con un compagno che mi espone le sue idee per permettermi di diffondere il mio personale pensiero.

Ascoltare significa ASCOLTARE.
E non è sinonimo di cedere temporaneamente il microfono a un altro che prima non avete nemmeno ascoltato.

Io sto parlando dell’attiva e rischiosa arte dell’ascolto che consiste nel comprendere e analizzare ciò che l’altro ha detto, sia che mi trovi d’accordo sia che mi trovi in disaccordo, con la consapevolezza che quelle parole sono rivolte a me, in uno specifico momento storico della sua vita. A me.

Hugh Prather nel suo libro “Palabras a mì misto” (Parole a me stesso) scrive:
“Nessuno è mai in errore,
caso mai gli manca un pezzo di informazione“.

E io aggiungerei:
“Senza contare su quella parte di informazione, e rifiutandomi di accettare che ho delle lacune, non crederò di stare commettendo un errore e lo difenderò con la certezza di colui che sa di avere ragione“.

Come lo stesso Prather raccomanda, sarebbe bene che, a meno di non essere troppo interessato a mostrarmi superiore, mi concentrassi ad ascoltare ciò che l’altro dice, per ricevere quella piccola informazione che si suppone mi manchi.
Se è veramente così (e chiunque la pensi in questo modo non può che accettare tale realtà), per quale motivo ci costa tanto aprirci ad ascoltare in maniera così libera e sincera? Perché poniamo tanta resistenza prima di aprire le nostre orecchie e il nostro cuore a ciò che le persone vogliono dirci?

[…] Non fossilizziamoci sulle nostre opinioni, convincendoci che sono certezze assolute e assiomi fondamentali. Perché in questo caso…
O… stimiamo più del dovuto ciò che conosciamo e disprezziamo quello che ignoriamo.
O… ci rifugiamo in quello che abbiamo imparato nella nostra gioventù e ci vergogniamo di accettare di fronte a noi stessi e di fronte agli altri che stiamo sbagliando.
O… opponiamo resistenza ad alcune verità che non ci conviene accettare o che ci causano dolore.
O… siamo capaci di mettere insieme tutte queste cose, ogni volta che incontriamo una persona.

[…] E per superare questo ostacolo non si può prescindere dall’ascoltare quello che gli altri ci fanno notare e le ipotesi di miglioramento che ci propongono. Molte volte è l’unico modo per renderci conto di quegli aspetti del nostro essere di cui non riusciamo ad acquisire consapevolezza.