Il Tempo

Il Tempo – Kahlil Gibran


 

E un astronomo disse:
“Maestro, parlaci del Tempo”.

 

E lui rispose:
“Vorreste misurare il tempo, l’incommensurabile e l’immenso.
Vorreste regolare il vostro comportamento e dirigere il corso del vostro spirito secondo le ore e le stagioni. Del tempo vorreste fare un fiume per sostare presso la sua riva e guardarlo fluire.

Ma l’eterno che è in voi sa che la vita è senza tempo
E sa che l’oggi non è che il ricordo di ieri, e il domani il sogno di oggi.
E ciò che in voi è canto e contemplazione dimora quieto
entro i confini di quel primo attimo in cui le stelle furono disseminate nello spazio.
Chi di voi non sente che la sua forza d’amore è sconfinata?
E chi non sente che questo autentico amore, benché sconfinato, è racchiuso nel centro del proprio essere,
e non passa da pensiero d’amore a pensiero d’amore, né da atto d’amore ad atto d’amore?
E non è forse il tempo, così come l’amore, indiviso e immoto?

Ma se col pensiero volete misurare il tempo in stagioni, fate che ogni stagione racchiuda tutte le altre,
e che il presente abbracci il passato con il ricordo, e il futuro con l’attesa”.

Coraggio o paura? E se invece…

Estratto da ” Il Coraggio e la Paura” di Vito Mancuso. – Garzanti

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La paura  stringe  e  alla  vita viene  a  mancare  il  respiro,  tutti conosciamo la sensazione. Potenziali portatori del virus, Siamo diventati una minaccia gli uni per gli altri e tutti oggi abbiamo paura di tutti. Ma se la paura stringe, questo significa che, se si scioglie e se ne va, la vita torna ad allargarsi e il respiro si dilata e si fa più profondo; noi diciamo che possiamo quindi “tirare un bel sospiro di sollievo”. Ne abbiamo tutti bisogno, e io vorrei che queste pagine facessero tirare un respiro di sollievo. Sollievo, direi anche consolazione, quel nobile veritiero sentimento che si prova leggendo l’Apologia di Socrate di Platone, i Pensieri di Marco Aurelio, la Consolazione della filosofia di Boezio, i Saggi di Montaigne, l’Etica di Spinoza; che si prova ascoltando la musica di Bach, di Haendel, di Beethoven e ammirando l’arte del nostro Rinascimento e in particolare di Leonardo e di Raffaello; che scaturisce ponendosi dimentichi di sé al cospetto della forza del mare, del silenzio della montagna, del mistero del cielo; quel sollievo e quella consolazione che al sommo livello provengono dal dimorare nel bene e nella giustizia e che la vita autentica sa dispensare a tutti coloro che la coltivano.

Sollievo ha la medesima radice di sollevare: occorre sollevarsi un po’ dalla ristretta prigione di questo quotidiano oppressivo, occorre salire, anzi risalire, e così prendere le distanze da quella cosa nera che la sequenza dei giorni terribili ha depositato dentro di noi e che ora ci portiamo dentro, non sappiamo bene dove ma dentro. Quella cosa nera annerisce, è nera e fa vedere nero, l’orizzonte il respiro si scuriscono ed esce aria nera dalle bocche. Se però si individua la cosa nera attorcigliata dentro, se si riesce ad afferrarne la coda, e con fatica ma senza mollare la si tira su dalle viscere in cui si è insediata e si arriva a spuntarla dalla bocca, allora anche la vista torna schiarirsi e si vede più nitidamente davanti e dentro di sé, e ci si può sollevare, si trova sollievo e si respira più profondamente, forse anche adesso.
Vivere richiede fatica, nessuno se lo dimentica, e se anche uno se lo dimenticasse ci penserebbe la vita, soprattutto di questi tempi, a ricordarglielo. Però si può almeno imparare a sorridere, e a respirare più profondamente. Lo si può fare facendo tesoro della saggezza esistenziale e spirituale distillata lungo i secoli da chi ci ha preceduto in questa vita, per me rappresentata in particolare dalla sapienza classica, depositata così intimamente nella nostra lingua, e da una rinnovata sapienza cristiana, aperta la filosofia moderna e alle altre tradizioni spirituali. Questa saggezza mica ci può aiutare a individuare, comprendere e trasformare la cosa nera dentro di noi. Per farlo ci vuole un po’ di coraggio, un coraggio gentile e intelligente. Ecco: il coraggio e la paura. Il coraggio alle prese con la paura.

2. Prima tesi: la paura non è sempre negativa
e il coraggio non è sempre positivo

Esiste un diffuso pregiudizio riguardo alla paura e al coraggio che occorre riconoscere e superare, ovvero che la paura, la cosa nera, sia sempre qualcosa di negativo, e il coraggio, la cosa rossa, sempre qualcosa di positivo. La realtà invece è diversa.
La paura è un dio, e dicendo dio non intendo una divinità che sta lassù nel cielo e vivere nei secoli dei secoli; intendo piuttosto una forza che sta quaggiù in terra, precisamente dentro di noi, e che però è più forte di noi e che ci stringe, secondo senso antropologico e culturale del divino su cui mi soffermerò più avanti. La paura ci afferra, il respiro viene mozzato, e se essa permane si genera angoscia che può persino produrre terrore, il livello più alto della scala della paura, come seguito argomenterò.
Non sempre però la paura è negativa; anzi, saputo interpretare e controllare, essa può risultare positiva, qualche volta molto positiva, ci può salvare la vita. Senza paura sia temerarietà, ovvero ignoranza che produce sconsideratezza, In quanto si ignorano le preziose informazioni trasmesse dalla paura con tutte le conseguenze che ne derivano, talora mortali; e chi ne vuole la conferma chieda alle montagne, ai mari, alle strade. La paura è un messaggio della vita: Se fossimo nell’antica Grecia diremmo che è un’inviata del dio messaggero, Hermes, che gli antichi romani chiamavano Mercurio, e come tale essa è ermeneutica e mercuriale.

Lo stesso vale per il coraggio, la cosa rossa. Esso non è il contrario della paura, perché il contrario del coraggio è la viltà, la codardia, la vigliaccheria. Il coraggio anzi presuppone la paura, nel senso che si può essere coraggiosi solo sapendo cos’è la paura e superandola mediante l’azione del cuore detta per l’appunto coraggio punto che il coraggio sia associato al cuore lui indica la parola, formato dal termine latino cor, cordis, “cuore”, e dal suffisso -aggio che la nostra lingua utilizza per indicare l’azione svolta dal sostantivo cui lo si applica (come per esempio accade in spia-spionaggio, canoa-canottaggio e tanti altri casi). Il coraggio è l’azione del cuore che vince la freddezza della mente toccata dall’emozione negativa della paura. La mente cosciente fa il suo mestiere e infonde paura; il cuore, in quanto mente cosciente e in più consapevole, fa il suo mestiere e trasforma la paura in coraggio. Il coraggio legato al cuore perché quando si esercita si percepisce un calore speciale nel petto, in quella zona centrale del nostro essere dove le correnti fredde dei ragionamenti razionali e le correnti calde delle passioni viscerali trovano la giusta miscela e formano il calore vitale, quella forza primigenia preziosissima che Spinoza chiamava conatus essendi, “desiderio di esistere”, e Bergson èlan vital, “slancio vitale”, e che noi possiamo chiamare anche voglia di vivere, ottimismo, fiducia, speranza, sorriso, respiro profondo.

Il coraggio esprime forza, e la logica dell’essere è la forza aggregante costruttrice di relazioni, per cui parlare del coraggio significa toccare il centro della vita e della sua dinamica. Se il mondo esiste è perché anche la natura ha avuto e ha, a suo modo, coraggio; se non l’avesse, essa sarebbe solo natura naturata, cioè statica, ferma, in un certo senso natura morta, mentre la natura, grazie alla sua forza interiore, è anche e soprattutto natura viva, natura naturante, cioè dinamica, evolutiva, progressiva, tant’è che dalle polveri primordiali, che oggi chiamiamo quark, sono potuti sorgere la luce della mente e il calore del cuore. È grazie al coraggio che pervade l’essere. Facciamo parte di un grande romanzo epico che si va scrivendo ancora oggi, dentro e fuori di noi, e il suo inchiostro si chiama coraggio: il coraggio in quanto forza dell’essere. Esercitato dentro di noi, il coraggio è una virtù; come vedremo, una virtù cardinale.

Ora però facciamo attenzione alle parole perché esse, soprattuto quando sono antiche, racchiudono un messaggio prezioso. […]
Coraggio in latino si dice virtus, sostantivo che significa però anche virtù, come ad affermare che la virtù per eccellenza è il coraggio, così per lo meno pensavano gli antichi romani che anzitutto sulla guerra di conquista avevano costruito la loro civiltà. In greco coraggio si dice andréia, virtù si dice areté. Ora analizziamo ognuno dei tre termini: 1) virtus è strettamente legato a vir, che in latino significa “uomo” nel senso di. “maschio”, “guerriero”; 2) andréia deriva da anér, andròs, che in greco ha esattamente il medesimo significato di vir: “uomo, maschio, guerriero”; 3) areté ha una significativa assonanza con Ares, il dio della guerra, per cui anche per gli antichi greci la virtù per eccellenza, almeno nella fase originaria della loro civiltà, è quella guerresca, come emerge in modo evidente negli eroi omerici. […]
Il coraggio quindi, ritenuto originariamente virtù per eccellenza, ha una strettissima connessione con la forza esercitata nel combattimento, con la guerra. Sia i greci sia i romani (i nostri avi, le nostre radici, cioè noi), concepivamo la virtù in primo luogo come capacità di risolvere i problemi combattendo, come capacità di affrontare e sconfiggere il nemico con le armi, altra parola, armi, che ha a che fare con la radice -ar, quella di Ares e di areté. Il coraggio appare così la virtù guerresca per eccellenza, è strettamente imparentato con l’imposizione, con la forza esercitata in modo violento. Ne consegue che una persona sempre e solo coraggiosa, una persona che non ha paura di niente, è una persona tendenzialmente pericolosa, soggetta a trasformarsi in un bullo, con quell’aria predatoria e lo sguardo tipico della persona che “non deve chiedere mai”, come diceva una pubblicità di quand’ero ragazzo. Oppure, per fare una citazione più dotta, di Simone Weil che si rifà a Platone: “Il coraggio è la virtù più visibile nella caverna perché dipende dalla forza” .*

È sbagliato pensare che il coraggio sia sempre solo positivo, così come è sbagliato pensare che la paura sia sempre solo negativa. Non c’è niente al mondo che sia sempre positivo o sempre negativo. L’acqua è la fonte della vita ma può diventare alluvione, il fuoco ci scalda ma si trasforma in incendio, l’aria ci tiene in vita ma come uragano semina morte, la terra ci nutre e la chiamiamo madre però a volte trema e si fa terremoto. Quanto detto dei quattro elementi della fisica antica vale per ogni altra realtà. Impossibile pensare a giustizia, verità, bellezza, divinità, senza vederne il lato ambiguo. Tutto nella vita è soggetto alla contraddizione.
Per questo il contrassegno della saggezza sta nel saper distinguere. Ma per saper distinguere, eccoci al punto, si devono ascoltare i messaggi della paura. Anche la cosa rossa, senza la calma e la moderazione che le deriva dalla presenza della cosa nera, può diventare tossica. Dobbiamo quindi ringraziare le nostre paure, come ringraziamo il nostro coraggio. E così come diffidiamo delle paure e le vogliamo superare, così dobbiamo diffidare di un coraggio eccessivo che può degenerare in temerarietà, aggressività, violenza.
Eraclito disse:” Il conflitto è padre di tutte le cose e di tutte le cose re.”; ma seppe anche aggiungere: “Da elementi che discordano si ha la più bella armonia”. Ecco il concetto decisivo: armonia. Anzi, harmonia, come si scrive in latino e in molte lingue moderne che rispettano lo spirito aspro del termine greco originario. Ma attenzione: cosa fa in modo che si entri a patti con l’avversario che ci contrasta, riconoscendo il suo diritto e stringendo alleanza con lui così da creare armonia? Semplice: la sua forza e la paura che essa provoca in noi. Senza questa paura, nessuno esiterebbe a esercitare sempre e solo la forza, sia essa fisica, psichica, intellettuale o di qualunque altro tipo. È quello che un giorno gli ambasciatori di Atene spiegarono agli abitanti dell’isola di Melo: “I concetti della giustizia affiorano e assumono corpo nel linguaggio degli uomini quando la bilancia della necessità sta sospesa in equilibrio tra due forze pari. Se no, a seconda; i più potenti agiscono, i deboli si flettono”. Quindi l’armonia, il patto, l’alleanza, la cooperazione, la simbiosi, cioè la logica migliore della vita che possiamo denominare relazione, non potrebbe nascere se il coraggio in quanto logica che impone se stessa, la logica denominata forza, non venisse costretto a venire a patti dalla paura. Ribadisco quindi la mia tesi: la paura non è sempre negativa e il coraggio non è sempre positivo.

*Riferimento al Mito della Caverna di Platone

Del testo originale sono state tralasciate tutte le note esplicative.