Estratto da ” I miti del nostro tempo” di Umberto Galimberti – Ed. Feltrinelli
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Introduzione
Conosciamo le malattie del corpo, con qualche difficoltà le malattie dell’anima, quasi per nulla le malattie della mente. Eppure, anche le idee della mente si ammalano, talvota si irrigidiscono, talvolta si assopiscono, talvolta, come le stelle, si spengono. E siccome la nostra vita è regolata dalle nostre idee, di loro dobbiamo aver cura, non tanto per accrescere il nostro sapere, quanto piuttosto per metterlo in ordine.
La prima figura d’ordine è la problematizzazione di certe idee che per ragioni biografiche, culturali, sentimentali o di propaganda, sono così radicate nella nostra mente da agire in noi come dettati ipnotici che non sopportano alcuna critica, alcuna obiezione. E non perchè siamo rigidi o dogmatici, ma perchè non le abbiamo mai messe in discussione, non le abbiamo mai guardate da vicino. Chiamiamo queste idee miti, mai attraversati dal vento della de-mitizzazione.
A differenza delle idee che pensiamo, i miti sono idee che ci possiedono, e ci governano con mezzi che non sono logici, ma psicologici, e quindi radicati nel fondo della nostra anima, dove anche la luce della ragione fatica a far giungere il ruo raggio. E questo perchè i miti sono idee semplici che noi abbiamo mitizzato perchè sono comode, non danno problemi, facilitano il giudizio, in una parola ci rassicurano, tolgiendo ogni dubbio alla nsotra visione del mondo che, non più sollecitata dall’inquietudine delle domande, tranquillizza le nostre coscienze beate che, rimunciando al rischio dell’interrogazione, confondono la sincertià dell’adesione con la profondità del sonno.
Ma occorre risvegliarci dalla quiete che le nostre idee mitizzate ci assicurano, perchè molte sofferenze, molti disturbi, molti malessei nascono non dalle emozioni di cui si fa carico la psicoterapia, ma dalle idee che, comodamente accovacciate nella pigrizia del nostro pensiero, non ci consentono di comprendere il mondo in cui viviamo, e soprattutto i suoi rapidi cambiamenti, di cui i media quotidianamente ci informano senza darci un discernimento critico che ci consenta di intravedere quali idee nuove dobbiamo escogitare per capirlo. E tutti sappiamo che essere al mondo senza capire in che mondo siamo, perchè disponiamo solo di idee elementari a cui restimao arroccati per non smarrirci, è la via regia per estraniarci dal mondo, o per essere al mondo solo come spettatori straniti, quando non distratti, o disinteressati, o addirittura incupiti.
Per recuperare la nostra presenza al mondo, una presenza attiva e partecipe, dobbiamo rivisitare i nostri miti, sia quelli individuali sia quelli collettivi, dobbiamo sottoporli a critica, perchè i nostri problemi sono dentro la nostra vita, e la nostra vita vuole che si curino le idee con cui la interpretiamo, e non solo le ferite infantili ereditate dal passato che ancora ci trasciniamo.
Critica è una parola che rimanda al greco Krìno, che vuol dire “giudico”, “valuto”, “interpreto”. Ogni giudizio, ogni valutazione comportano una crisi delle idee che finora hanno regolato la nostra vita, e che forse non sono più idonee ad accompagnarci nella comprensione di un mondo che si trasforma anche senza la nostra collaborazione. Chi non ha il coraggio di aprirsi alla crisi, rinunciando a quelle idee-mito che finora hanno diretto la sua vita, non guadagna in tranquillità, ma si espone a quell’inquietudine propria di chi più non capisce, più non si orienta.
Ma forse l’orientamento vuole proprio una de-mitizzazione dei miti un tempo funzionali e oggi dis-funzionali alla comprensione del mondo, vuole un radicale superamento dell’inerzia della mente, della sua passività, per un pensiero avventuroso che sappia liberarsi delle idee stantie, per incontrare le idee nuove, da non bruciare sul nascere, ma con le quali intrattenersi, perchè le idee sono fragili come cristalli, ma talvolta cariche di una forza capace di distruggere le nostre abitudini mentali.
Non sempre sono “idee chiare e distinte” come voleva Cartesio, spesso sono solo abbozzi di interpretazioni, che però consentono alla mente di allargare i suoi orizzonti, e a noi di diventare più tolleranti, perchè più aperti e più capaci di comprendere, quindi divivere.
Milano, 6 settembre 2009
Potrebbe sembrare un ossimoro, un paradosso: che cosa ci può essere di creativo nella sofferenza? E se la sofferenza fosse un passaggio per una nuova creazione? Non si liquefà forse il baco nel bozzolo per dare vita a una farfalla ? Non sembra marcire, contrarsi, spezzarsi il seme nelle sue cuticole per dare alla luce il germoglio? Non soffre la madre per partorire il figlio?