Osservare senza valutare

Estratto da “Le parole sono finestre (oppure muri)” di M.Rosenberg – Ed. Esserci

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Posso sopportare che tu mi dica quello che ho fatto e quello che non ho fatto.                    E posso sopportare le tue interpretazioni, ma ti prego di non confondere le due cose.

Se vuoi complicare qualsiasi questione ti posso dire come puoi fare:                          confondi quello che faccio con il modo in cui tu vi reagisci.

Dimmi che sei frustrato per i lavori che non porto a termine,                                             ma chiamarmi “irresponsabile” non è certo un modo per motivarmi.

E dimmi che ti senti triste quando dico di “no” alle tue proposte,                                          ma dirmi che sono un uomo freddo e insensibile non aumenterà le tue possibilità.

Sì, posso sopportare che tu mi dica quello che ho fatto o che non ho fatto,                        e posso sopportare le tue interpretazioni, ma ti prego di non mescolare le due cose.

Ego e ruoli

Estratto da: “Un mondo nuovo” di Eckahrt Tolle – Ed. Oscar Mondadori

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Un ego che vuole qualcosa da un altro (e quale ego non ne vuole?) interpreterà un ruolo affinchè le sue necessità vengano soddisfatte, sia che si tratti di guadagni materiali, di potere, di superiorità, di essere speciali, o di qualche gratificazione, sia fisica sia psicologica.  Crede di essere quei ruoli. Alcuni sono ruoli dissimulati, altri sono sfacciatamente ovvi, salvo che per le persone che li interpretano.

Alcuni ruoli sono semplicemnte creati per ottenere l’attenzione degli altri. L’ego si rinforza grazie all’attenzione degli altri, che è dopo tutto, una forma di energia psichica.  L’ego non sa che la fonte di ogni energia è dentro di voi e così la cerca fuori. L’ego non cerca l’attenzione senza forma che è la Presenza, ma l’attenzione di una certa forma, come l’essere riconosciuti, apprezzati, ammirati o l’essere in qualche modo notati, aver riconosciuta la propria esistenza.

Una persona timida che ha paura dell’attenzione degli altri non è libera dall’ego, ma ha un ego ambivalente che vuole e teme l’attenzione degli altri. Ha paura che questa prenda la forma della disapprovazione o della critica, qualcosa che, per così dire, diminuisca il senso del sé piuttosto che accrescerlo. La paura che un  timido ha dell’attenzione è più grande della sua necessità di attenzione. La timidezza spesso si accompagna a un concetto di sé negativo, all’idea di essere inadeguati. Qualunque senso del sé concettuale – vedere me stesso come questo o quello – è ego, sia esso positivo (io sono il migliore) o negativo (io non vado bene). Dietro ogni senso del sé concettuale positivo, vi è la paura nascosta di non andare abbastanza bene. Dietro ogni senso del sé concettuale negativo vi è il desiderio nascosto di essere il più grande o il migliore. Dietro il sentimento di sicurezza e la continua necessità di essere superiori che l’ego, vi è la paura inconscia di essere inferiore.  Di contro, il timido, l’ego inadeguato che si sente inferiore, ha un forte e nascosto desiderio di superiorità. Molta gente oscilla fra i sentimenti di superioirtà e quelli di inferiorità, dipendendo dalle situazioni o dalle persone con le quali entra in contatto. Tutto ciò che avete bisogno di osservare e di sapre di voi stessi è questo: ogni volta che vi sentite superiori o inferiori a un altro, quello è l’ego in voi.

 

 

Perché la nostra vita è vuota?

Estratto da “Sull’Amore e la Solitudine” – J. Krishnamurti, Ed. Astrolabio

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Bombay, 12 febbraio 1950     
[…]  Perché la nostra vita è vuota? Siamo attivissimi, scriviamo libri andiamo al cinema, ci divertiamo, amiamo e lavoriamo, eppure la nostra vita è vuota, noiosa, semplice routine. Perché i nostri rapporti sono così sciatti, vuoti e insignificanti? Conosciamo la nostra vita abbastanza bene per sapere che la nostra esistenza ha davvero scarso significato: citiamo frasi e idee che abbiamo sentito da altri, che cosa ha detto questo e quello, che cosa hanno detto i mahatma, i santi contemporanei e i santi dell’antichità. Se non seguiamo una guida religiosa, ne seguiamo una politica o intellettuale. […]
Siamo come dischi incisi, e chiamiamo conoscenza quella che è semplice ripetizione. Impariamo qualcosa, lo ripetiamo, e la nostra vita rimane profondamente sciatta, vuota, squallida. Perché? Perché succede questo? Perché abbiamo assegnato tanta importanza al pensiero? Perché la mente è diventata così preponderante (idee, pensieri, la capacità di razionalizzare, di soppesare, di paragonare, di calcolare)? Perché abbiamo dato alla mente una così enorme importanza? Non sto dicendo che dovremmo diventare degli irriflessivi, degli emotivi e sentimentali. Ma avvertiamo il vuoto della nostra vita, questo enorme senso di frustrazione. Perché questa piattezza, questa superficialità? Potremo capirlo solo esaminando il nostro modo di agire nei rapporti.

Cosa accade realmente nei nostri rapporti? Più che rapporti, non sono isolamenti? Qualunque attività della mente non è forse rivolta alla propria salvaguardia, sicurezza e difesa? Il pensiero, che definiamo processo collettivo, non è invece un processo di isolamento? Ogni nostra azione non è forme un atto di auto-reclusione? […] Tutte le nostre azioni mirano all’isolamento, ed è questo che crea il senso di vuoto. Sentendoci vuoti, cerchiamo di riempire il vuoto con la radio, il rumore, le chiacchiere, i pettegolezzi, la lettura, l’acquisizione di conoscenze, la rispettabilità, il denaro, la posizione sociale, e così via. Sono tutte componenti del processo di isolamento, e perciò non fanno altro che rafforzarlo. Per quasi tutti gli uomini la vita vuol dire isolamento, chiusura, resistenza, conformità ad un modello. È un processo senza vita, e di qui deriva il senso di vuoto, di frustrazione. Amare significa essere in comunione con l’altro non solo in parte, ma totalmente, integralmente, generosamente. Ma noi non conosciamo questo amore. Per noi, l’amore è solo una sensazione: la sensazione dei miei figli, di mia moglie, delle mie proprietà, delle mie nozioni, dei miei successi. Sempre lo stesso processo di isolamento. La vita è una serie di chiusure, è una spinta mentale ed emotiva all’isolamento, e solo occasionalmente entriamo in comunione con gli altri. Ecco da dove nasce l’enormità del problema.

Questa è la realtà della nostra vita (rispettabilità, proprietà e vuoto), da cui nasce la domanda: come andare oltre? Come superare questa solitudine, questo vuoto, questa pochezza, questa povertà interiore? Credo che la maggior parte di noi non voglia superarli. La maggioranza degli uomini è soddisfatta così. Cercare un altro modo di vivere è troppo faticoso, e così preferiamo rimanere come siamo: ecco il vero problema. Ci siamo circondati di sicurezze, ci siamo circondati di muri che ci fanno sentire al sicuro. Ma, di tanto in tanto, cogliamo un sussurro al di là del muro: un terremoto, una rivoluzione, una scossa che soffochiamo subito. La maggior parte di noi non vuole andare al di là del processo di auto-reclusione, e al massi cerchiamo un sostituto, la stessa cosa in una forma diversa. La nostra insoddisfazione è molto superficiale, una nuova sicurezza, una nuova protezione, che è sempre il solito processo di isolamento. Ciò che in realtà vogliamo non è andare oltre l’isolamento, ma rafforzarlo per renderlo il più possibile custodito e protetto. Sono pochi quelli che vogliono aprire una breccia per vedere che cosa c’è al di là del nostro senso di vuoto, di solitudine. Chi cerca soltanto un sostituto del vecchio troverà certamente qualcosa da cui far dipendere la sua nuova sicurezza, ma altri vorranno spingersi oltre, e noi andremo con loro.

– segue “Al di là della solitudine”

 

Il simbolismo della destra e della sinistra

Estratto da: “Camminate finchè avete la luce” di Omraam M. Aïvanhov – Ed. Prosveta

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La maggior parte delle tradizioni associa simbolicamente la destra al bene e la sinistra al male: quando di qualcuno si dice che cammina su una “via sinistra”, ciò sta a significare che si comporta male. Il simbolismo della destra e della sinistra lo si ritrova nelle parole di Gesù: “Quando fai l’elemosina, che la tua mano sinistra ignori ciò che fa la tua mano destra“.  Le mani agiscono sotto l’influsso della volontà. La mano sinistra e la mano destra sono l’espressione dell’attività umana.

In realtà, sia che si tratti di “avanti-indietro”, di “alto-basso” o di “destra-sinistra”, tutte le direzioni vanno bene a condizione che siano utilizzate con discernimento; le opposizioni che si sono stabilite tra loro hanno semplicemente un valore simbolico. Il linguaggio simbolico è la matematica delle idee: riassume in alcuni principi molto semplici le realtà più complesse.

Allora, cosa voleva dire Gesù quando consigliava di tenere all’oscuro la mano sinistra su ciò che fa la mano destra? Queste parole, se prese alla lettera, significherebbero che solo la mano destra è giustificata nelle sue azioni. Ora, non si può fare gran chè con una sola mano. Nella vita pratica, ci si rende conto di quanto la mano sinistra e la mano destra si completino a vicenda e agiscano in armonia.  […]

Dio ha creato l’uomo con una grande saggezza, e dal momento che lo ha dotato di due mani, come avrebbe potuto Gesù consigliare di separarle? Certo, voi mi direte che le persone non sono tanto sciocche, da prendere alla lettera le parole di Gesù. D’accordo, non le prendono alla lettera…Ma allora, come le prendono?

Alcuni hanno visto nelle due mani la rappresentazione dell’intelletto e del cuore, e ne hanno concluso che l’intelletto non debba immischiarsi negli affari di cuore. No, non è la giusta interpretazione. Il cuore, con i suoi desideri, le sue passioni e i suoi capricci, potrebbe opporsi a progetti che sono saggi e ragionevoli, e quindi l’intelletto deve intervenire per illuminare il cuore. Quanto all’intelletto, questo può essere freddo, arido, rigido, e allora il cuore deve dire la sua per riscaldarlo, addolcirlo e renderlo più conciliante.

In realtà, la mano destra e la mano sinistra menzionate da Gesù rappresentano  le due nature dell’essere umano: la natura superiore e la natura inferiore. Quando la mano destra (la natura superiore) vuole agire, vuole cioè “fare l’elemosina” (espressione questa che deve essere compresa nel senso più vasto, ossia come “fare il bene”), deve mostrarsi prudente, affinchè la mano sinistra (la natura inferiore) non intervenga opponendo degli ostacoli. […] Non soltanto la mano destra deve dar prova di intelligenza per mettere a punto i progetti migliori, ma deve anche stare attenta a proteggerli dalle manovre della mano sinistra.

Se la mano sinistra (natura inferiore) non deve sapere ciò che fa la mano destra (natura superiore), è necessario invece che la mano destra conosca i progetti della mano sinistra per poterne sventare i tranelli.  La natura inferiore è incessantemente occupata a fomentare attività losche, il che costringe la natura superiore a rimanere costantemente vigile per osservare cosa succede e, all’occorrenza intervenire per ristabilire l’ordine. Chi sta più in alto deve sapere ciò che accade in basso. […]

Studiate bene le relazioni che esistono in voi tra la natura inferiore e la natura superiore. Avete preso delle buone risoluzioni… vi siete detti che è tempo di cambiare certe vostre abitudini… avete in progetto di aiutare qualcuno… Sappiate che la vostra natura inferiore è lì che vi sorveglia e di dà dei suggerimenti, vi manda delle tentazioni per distogliervi. Oppure aspetta il momento opportuno per prendersi la rivincita. […]

Dunque, è chiaro: la mano destra e la mano sinistra non rappresentano l’intelletto e il cuore, bensì la natura superiore e la natura inferiore che si manifestano sia attraverso l’intelletto sia attraverso il cuore. Quando la natura superiore in voi fa dei progetti, la natura inferiore non deve esserne avvertita. Cercate di addormentarla, oppure approfittate dei momenti in cui è assopita o distratta, altrimenti si scaglierà contro quei buoni progetti e cercherà in tutti i modi di impedirne la realizzazione. Vi sussurrerà: “Ma non c’è nessuna fretta… Hai tutto il tempo… Potresti startene così tranquillo!… Perchè ti affanni tanto?”

Ed è così che, venuto il momento, non avrete più tanto slancio e tanta convinzione, e abbandonerete quei progetti.

 

Il problema dell’interiorità

Estratto da “La forza di essere migliori” di Vito Mancuso – Garzanti Editore

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SEGUE DA PARTE PRIMA

Altre domande concernono l’esperienza soggettiva di ognuno di noi alle prese con il tentativo di praticare il bene e la virtù:
* Come mi devo comportare nella routine quotidiana per operare bene e per respingere il male? Cosa significa in concreto fare il bene?
* E prima ancora, come faccio a capire qual è il bene e qual è il male nelle diverse e complicate circostanze della vita?
* È possibile essere davvero all’altezza del compito di stare sempre dalla parte del bene? Non è un po’ troppo impegnativo, troppo esigente, troppo stressante? Non è un compito tale da schiacciare l’essere reale dell’ego con il dover-essere precettistico del superego? Non significa condannarsi all’infelicità privandosi di una serie di piaceri della vita?
* Infine la domanda più importante, rispondere alla quale risulta esistenzialmente decisivo e teoreticamente fondativo: perché devo fare il bene? E perché devo farlo sempre, anche quando non mi conviene e posso ometterlo senza immediate conseguenze negative? Non è più conveniente barcamenarsi tra bene e male, un po’ dell’uno e un po’ dell’altro, una dose di virtù e una dose di vizio, all’insegna di una filosofia di vita più salutare perché più conforme alla natura delle cose?

Questo nugolo di domande, a cui immagino se ne possano aggiungere altre, rimanda al più grande problema che in questo momento storico incombe su noi postmoderni occidentali. Le epoche passate avevano problemi per lo più legati alla vita fisica come la fame, il freddo, le epidemie, le guerre, oppure legati alla vita sociale come l’acquisizione dei diritti politici, la libertà di stampa, la libertà di religione, l’uguaglianza dei sessi. Gli esseri umani del passato avevano problemi che noi in buona parte abbiamo risolto, visto che mediamente godiamo di sicurezza fisica e di spazi di libertà come mai prima d’ora nella storia. Tuttavia sentiamo che c’è qualcosa che non va. Qual è dunque il nostro problema più grande? Esso riguarda quella dimensione che in precedenza ho chiamato interiorità e consiste nella gestione di questa energia libera dentro di noi, che, se non è gestita o è gestita male, provoca malessere: il quale si manifesta o rimanendo al nostro interno e facendo male a noi stessi, quindi come depressione; oppure uscendo all’esterno e facendo male agli altri, quindi come aggressione, anzitutto nella forma potenziale detta aggressività.

La nostra energia libera ha bisogno di direzione, prospettiva, senso, ma da sola il più delle volte non riesce a trovarli. Per questo nel passato fiorivano le religioni e le ideologie politiche, e sempre per questo ai nostri giorni fiorisce più potente che mai l’industria del cosiddetto intrattenimento, che intrattiene la nostra energia libera alla ricerca di una direzione e che da sola non sa dove trovarla. I sempre più pervasivi mezzi di comunicazione di cui dispone tale industria nutrono e guidano la nostra energia libera che così acquista una direzione, il nostro vuoto interiore si riempie, la nostra solitudine svanisce. Peccato, però, che la direzione venga a coincidere con il consumo, il vuoto sia riempito dalle chiacchiere, la compagnia ci sia offerta da una serie di volti sullo schermo che in quanto meri fantasmi mentali lasciano più soli di prima. E l’intrattenimento non è che un’altra forma, la più sofisticata, della catena che ci tiene o trattiene in vita facendoci prigionieri.

In realtà, il più efficace intrattenimento che la nostra energia libera possa incontrare e di cui si possa nutrire è la bellezza del bene e della comunione umana. Più di ogni fiction e di ogni social, la realtà ideale e reale del bene condiviso è tale da riempire di senso la vita, e dico senso nella triplice valenza del termine: significato, sensazione, direzione. La bellezza del bene condiviso non si limita a intrattenere, ma, molto più profondamente, arriva a contenere la nostra energia interiore. La bellezza del bene condiviso non è un intrattenitore, è un grande contenitore. Possiamo dire di essa quanto il Nuovo Testamento dice di Dio, cioè che in lui noi «viviamo, ci muoviamo ed esistiamo *».

Di sicuro infatti, quando una vita giunge al culmine della fioritura, questo avviene perché avverte di vivere, di muoversi e di esistere nell’amore e come amore, cioè precisamente nella bellezza del bene condiviso, donato e ricevuto, nella sua piena fioritura.

 

* Atti degli apostoli