L’ombra: una fonte inaspettata

Estratto da ” Metti in luce la tua ombra” di Robert A. Johnson – Ed. Gruppo Futura

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Si racconta che la storia preferita del dottor Jung fosse un qualcosa di simile a questo: l’acqua della vita, volendo farsi conoscere sulla faccia della terra, scaturì da un pozzo artesiano e cominciò a scorrere senza sforzo e senza limiti. Gli uomini vennero da ogni luogo per bere la magica acqua e questa li nutrì, dato che era così pulita e pura e piena di forza. Ma l’umanità non si accontentò di lasciare le cose in questo stato così simile all’Eden.  Gradualmente cominciarono a recintare il pozzo, a far pagare l’ingresso, a disputarsi la proprietà del terreno che lo circondava, a elaboare complesse leggi per stabilire chi aveva diritto di avvicinarsi al pozzo, a chiudere i cancelli con serrature. In poco tempo il posso diventò proprietà dei potenti e dell’élite.

L’acqua si adirò e si offese: smise di fluire e cominciò a sgorgare in un altro luogo. Le persone che possedevano la proprietà intorno al primo pozzo erano così assorbite dai loro sistemi di potere che non si accorsero che l’acqua era scomparsa. Continuarono a vendere l’acqua inesistente e pochi si resero conto che il vero potere non c’era più. Ma alcune persone insoddisfatte, con grande coraggio, cercarono e trovarono il nuovo pozzo artesiano. Subito anche questo passò sotto il controllo dei proprietari e andò incontro allo stesso destino. La sorgente si spostò ancora una volta in un altro luogo – e tutto questo ha continuato a ripetersi per tutta la durata della storia conosciuta.

Questa è una storia molto triste, e Jung la trovava molto commovente perchè mostrava come una verità fondamentale possa essere male usata e trasformata in un giocattolo egocentrico. La scienza, l’arte e in particolare  la psicologia hanno sofferto per questo oscuro processo. Ma la cosa meravigliosa di questa storia è che l’acqua della vita continua sempre a scorrere da qualche parte ed è a disposizione di ogni persona intelligente che abbia il coraggio di cercarla nella sua forma attuale.

L’acqua è stata spesso usata come simbolo del più profondo nutrimento spirituale dell’umanità. Sta scorrendo anche durante il nostro tempo nella storia poichè il pozzo è fedele alla sua missione: ma scorre in qualche strano posto. Spesso ha smesso di scorrere nei luoghi usuali per poi riapparire nei luoghi più sorprendenti. Ma, grazie a Dio, l’acqua c’è sempre. […] Come sempre è gratuita ed è fresca, proprio come l’acqua della vita deve essere e sempre sarà.

Il problema principale è che deve essere trovata dove meno ce lo aspettiamo. […] Allo stesso modo anche la nostra ombra, quella discarica che raccoglie tutte quelle caratteristiche che noi disconosciamo, è una fonte inaspettata. […]  Queste parti disconosciute sono estremamente preziose e non possono essere trascurate.

Come l’acqua della vita, la nostra ombra non costa niente ed è sempre presente – immediatamente e con grande nostro imbarazzo. Onorare e accettare la propria ombra è una profonda disciplina spirituale. Ci rende integri ed è perciò la più santa e importante esperienza della nostra vita.

– segue –

L’importanza dell’Inizio

Estratto da “Pensieri quotidiani” Anno 2010   Omraam Mikhaël Aïvanhov  – Edizioni Prosveta

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L’importanza dell’inizio… In che modo fate un primo gesto o un primo passo, in quale stato d’animo, con quale intenzione: dall’inizio dipendono i risultati che otterrete per tutta la vostra vita, i successi o, viceversa, i fallimenti.

Siete sorpresi: come può un piccolo dettaglio determinare tutto un concatenarsi di circostanze?

Osservatevi! Se vi metterete in moto in uno stato d’agitazione scatenerete forze caotiche, e se in quello stato vi recherete al lavoro o a far visita a qualcuno, più vi avvicinerete alla meta, più sarete agitati; farete allora dei gesti maldestri, pronuncerete parole poco prudenti, e in seguito quanti danni da riparare!

Se invece avrete prima meditato o pregato per essere calmi, sereni, pieni d’amore, e farete il primo passo in un tale stato d’animo, più avanzerete, più sentirete che state trovando l’atteggiamento giusto, le parole adatte da pronunciare. Tutto sta nell’inizio: inizio di un lavoro, inizio di una relazione, inizio di un anno.

 

Buon Anno!

Estratto da “Pensieri quotidiani” anno 2013 – Omraam Mikhaël Aïvanhov  – Edizioni Prosveta

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Buon anno! Felice anno nuovo! In questo primo giorno, siete così colmi di speranza. Voi dite: “Non ho ottenuto quel che desideravo durante l’anno appena trascorso, ma ora, con l’anno nuovo, ci riuscirò!”

Ogni nuovo anno porta la speranza anche ai più diseredati; forse in fondo non ci si crede più di tanto, eppure si spera sempre un po’.  E ogni nuovo anno la speranza rinasce: non potete impedirvi di pensare che per voi qualcosa migliorerà, che una porta si aprirà.

Direte: “E se non dovesse migliorare nulla? Se nessuna porta si aprirà?” Almeno una porta si aprirà, se penserete che anche voi dovete fare qualcosa per contribuire. In che modo? Proiettatevi tramite il pensiero in certe situazioni della vostra vita e immaginate di agire con giustizia, saggezza e amore. Lavorando in questo modo, preparate già il vostro avvenire. Se sarete sinceri e perseveranti, influenzerete le forze della natura e le entità luminose del mondo invisibile, e queste verranno a contribuire alla realizzazione dei vostri buoni auspici.

 

Mi apro alla Chiusura

Incontro gratuito in presenza

Sabato 2 dicembre ore 15:00 – 16:30

 Un’introduzione al “Chiudere”

Il termine chiusura è sinonimo di “finire qualcosa” con dolore o tristezza, rancore o rimpianto, o con sollievo. Normalmente associamo questo termine alla fine di un rapporto lavorativo o relazionale.  

Aprirsi alla Chiusura significa cambiare punto di vista sul concetto che ne abbiamo.

Una Chiusura che tutti attendono tradizionalmente è quella del 31 dicembre. In quella notte ci sentiamo pieni di speranza per il futuro e siamo pronti a dimenticare le difficoltà e le delusioni vissute nell’anno appena trascorso. 

Iniziamo attività e relazioni quasi quotidianamente, dimenticando ciò che si è concluso; è importante invece riconoscere la fine di una situazione, altrimenti questa continuerà a esistere, non dando al nuovo lo spazio per insediarsi.

Se si vuole entrare in un nuovo anno, in un nuovo ciclo della nostra vita  è opportuno, quindi, congedare e congedarsi da quanto è stato, in serenità e armonia.

Questa Introduzione si rivolge a chi desidera informazioni e strumenti per operare delle “chiusure”, non esclusivamente per questo periodo dell’anno, ma anche in qualunque momento si senta l’esigenza di congedarsi da eventi o situazione chiuse,  per creare spazio e nutrire nuove possibilità.

“ Solo chi ha la forza di scrivere la parola fine, può scrivere la parola inizio”   Lao Tsu

Adesione entro  Giovedì  30  novembre 

 

Informazioni e iscrizione – contatti

 

Sulla Chiusura – parte seconda

di Ermanna

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Segue da Parte prima

Nel concetto di chiusura identifichiamo tradizionalmente l’energia della morte, della fine e del “non esiste più”, come mancanza o perdita. Questa prospettiva può dare al termine, oltre a quanto detto, un senso di esclusione, respingimento o un allontanamento da qualcosa di fastidioso e insopportabile, che ha fatto soffrire. Un voltare le spalle con disdegno e rabbia. Ma non è nel dire “basta” che si elimina un evento a livello emozionale, perché si rinnova costantemente ogni volta che qualcosa ce lo rammenta.

La chiusura va considerata invece come fine di un ciclo, come conclusione di qualcosa che non ha più necessità di continuare, che ha finito la sua funzione formativa. Ogni persona, ogni essere vivente o meno, ha un suo inizio, uno sviluppo per arrivare alla sua massima espressione, per poi recedere fino alla sua spontanea conclusione. Lo stesso vale per le situazioni di vario genere e le relazioni. Esse possono durare anche tutta una vita, se la loro funzione e il loro scopo vengono alimentati e rimangono vitali. In caso contrario giungeranno al termine, sia che lo vogliamo oppure no. La vita ha il suo scopo, il suo motivo di essere nell’evoluzione. Una fine non significa qualcosa di totalizzante che fa sparire tutto di punto in bianco. Noi non sappiamo come e dove si trasferisce ciò che ha concluso il suo percorso su questa terra.

È grazie all’energia della conclusione, compensativa a quella della vita, che l’esistenza riprende con nuovo vigore. E questo può accadere solo se viene compresa la fine di ogni ciclo e si accoglie il suo termine con cuore sereno. 

Come possiamo intraprendere qualcosa di nuovo, con energie depauperate e stanche? Come possiamo iniziare un nuovo ciclo, se non chiudiamo quello precedente che continua a sottrarci vitalità? 

Dalla natura abbiamo imparato che ciò che muore viene trasformato e rimesso in circolo per dare nuovo impulso alla creazione. Essa non piange, non si oppone, non si dispera. Si lascia trasformare. Nulla si crea e nulla si distrugge, – lo ha detto Einstein – e tutto si trasforma. Resta in circolo ciò che nutre. 

Esattamente come la spada di Grifondoro in Harry Potter: separa ciò che è utile da ciò che non lo è. Seleziona. E  “assorbe solo ciò che la fortifica”. 

Quando desideriamo che un’esperienza conclusa sia la base del nuovo, è bene lasciarla andare in serenità. Fare ciò è comprendere che quello che abbiamo vissuto ha creato un insegnamento per noi. Molto importante è riconoscerne il valore  per riuscire a scrollarci di dosso un carico emotivo pesante. 

Se non siamo in sintonia con il movimento energetico della chiusura,  se non lo abbiamo compreso, non potremo recidere il legame con ciò che abbiamo vissuto e tratterremo ancora una parte dell’esperienza; ne saremo sempre influenzati, appesantiti. Questo fardello impedirà un rinnovamento effettivo, un’apertura sincera ed efficace, scevra da qualsiasi condizionamento precedente. Senza la capacità e la volontà di chiudere, non permettiamo l’ingresso di nuove esperienze, di nuovi sentimenti, di nuove relazioni, semplicemente perché non abbiamo creato lo spazio per accoglierle. 

A questo punto la chiusura si rivela non come un’azione atta a tagliare i ponti con il passato,  con le persone che ci hanno fatto soffrire, come un mezzo per dimenticare il brutto – ma anche il bello –  di quanto accaduto, bensì come alleato. Un alleato che ci aiuta a fare spazio dentro di noi per accogliere il nuovo. Non possiamo collocare mobili nuovi, se prima non liberiamo la stanza da ciò che è vecchio.

Messa in questi termini,  la fine di ogni ciclo offre la possibilità di fermarsi un momento per ricordare e riconoscere quanto di bello e utile è stato prodotto e come ha arricchito la nostra esistenza (assorbe solo ciò che la fortifica), lasciando andare il dolore, il rimpianto, il rancore, la rabbia o sentimenti negativi nei confronti di coloro che hanno partecipato e condiviso la nostra esperienza.  

Riconoscere il termine di ciò che non è più funzionale per la nostra vita e operare con l’intento di lasciar andare il superfluo, è liberatorio. È decidere di uscire da una stanza e chiudere la porta dopo aver spento una luce che, altrimenti, avrebbe continuato a consumare elettricità a nostra insaputa. 

Una chiusura “ben fatta” non dipende dagli altri. Dipende da noi. È un lavoro molto personale. Non possiamo delegare ad altri il compito di spegnere la luce in casa nostra. Non possiamo chiedere agli altri di sanare le nostre emozioni, le nostre ferite. Non possiamo far entrare il nuovo nel nostro cuore, se prima non eliminiamo emozioni come tristezza, dolore,  paura, rancore e rimpianto che vi albergano. 

Chiudere con questo intento non porta la dimenticanza. Harry ricorda tutti gli avvenimenti e le persone coinvolte, ma ha trovato pace e serenità permettendo a se stesso di essere nutrito dai sentimenti positivi che quelle esperienze gli hanno lasciato.

Per poterlo fare, è opportuno riconoscere che ogni esperienza è stata utile – anche se non lo vogliamo ammettere -,  e che, avendo concluso il suo ciclo, si è trasformata in zavorra da scaricare. Decidere di operare in tal senso, ci rende responsabili di noi e disponibili a lasciare andare ciò che ci ha ferito, spaventato (anche una malattia), che ha creato tensioni e difficoltà, sapendo che siamo noi ad avere nelle nostre mani il boccino d’oro contenente la pietra della nostra resurrezione.

Comprendere qual è il momento opportuno per chiudere un’esperienza, è una capacità fondamentale tanto quanto sapere come agire la chiusura in modo che non lasci  risonanze dentro di noi nel futuro.

Ogni momento è corretto per poter mettere in atto una chiusura, ma la fine dell’anno è sicuramente un momento in cui vogliamo dimenticare ciò che lasciamo, per sperare in quello che il nuovo anno potrebbe portare.

È proprio in questo particolare periodo che abbiamo l’opportunità di raccoglierci in riflessione e liberarci da pesi che sono diventati superflui: togliamo loro energia per riappropriarcene, in modo da aprire davvero le porte al nuovo.

Una frase ormai più che abusata, ma che secondo me mantiene un suo significato profondo, è “Quando si chiude una porta, se ne apre un’altra”. Molti sostengono che non sia vero.

Pensiamo a questo… abbiamo veramente chiuso quella porta o l’abbiamo lasciata aperta?