Un posto dove andare

Estratto da “Pensieri quotidiani – 2003” di Omraam Mikhael Aivanhov – Edizioni Prosveta

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Potete trovare tutto nell’universo: il cielo, la terra e persino l’inferno. Sta a voi sapere dove volete andare e comportarvi di conseguenza.

Se inavvertitamente vi siete persi nell’inferno, affrettatevi a uscirne. Può accadere che siate invitati al bar a bere con amici, ma questo non significa che dobbiate restarvi a lungo. Passeggiate nella foresta e vi mettete a cogliere le fragole; va bene, ma pensate a rientrare, altrimenti arriverà la notte e non ritroverete più la strada….

Qualcuno si lamenta: “Ho pronunciato parole infelici che hanno provocato dei danni”. Non fa nulla, pronunci ora altre parole per riparare.  Così chi cade in una palude infestata da animaletti novici non deve accontentarsi di lanciare grida e recitare preghiere, ma si affretti ad uscirne!

Queste sono tutte immagini per mostrarvi che anche nelle peggiori situazioni non vi è nulla di definitivo e che bisogna soltanto pensare a cambiare posto o riparare.

 

 

 

 

 

 

La sofferenza creativa

Estratto da ” Ricucire l’anima” di Erica Francesca Poli – Ed Mondadori

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Potrebbe sembrare un ossimoro, un paradosso: che cosa ci può essere di creativo nella sofferenza?  E se la sofferenza fosse un passaggio per una nuova creazione? Non si liquefà forse il baco nel bozzolo per dare vita a una farfalla ? Non sembra marcire, contrarsi, spezzarsi il seme nelle sue cuticole per dare alla luce il germoglio? Non soffre la madre per partorire il figlio?

Chi supera il dolore cambia la propria identità, cambia se stesso, crea nuove forme, è colto da un impeto creativo, fa spesso della propria vita un’opera d’arte. L’artista estrae dal proprio dolore personale il distillato di un dolore del mondo e poi stilla bellezza da quella sofferenza.

In questo senso la vita è divina, poichè è in costante tensione creativa, e la creazione è in costante tensione di riconoscimento della fonte da cui proviene. Nell’atto della creazione Dio si rivela, esiste a se stesso come autocoscienza che genera.

C’è polvere di stelle nel nostro DNA. Il suono delle galassie giunge sino a noi, e oggi può essere registrato: la sinfonia dei pianeti, come la musica nella quale possono essere davvero tradotte le stesse sequenze di DNA. L’energia della stella Sole, che giunge sino al pianeta, brilla sulla vita fotosintetica che converte fotoni in materia, foglie, frutti.  Scienza e Dio mai così vicini, dai tempi di Platone, Plotino, Ipazia. Non era forse lei, matematica e filosofa egiziana, ad ascoltare la musica dei pianeti? Senza una tecnologia sofisticata, ma con la raffinatezza di un pensiero che era già unione di astrofisica, matematica e filosofia.

Ipazia fu uccisa nel IV secolo da un’idea politica e dogmatica di fede, perchè credeva in una religione dell’anima. Eppure è proprio nella religione dell’anima che si trova l’estasi, ed è l’estasi, la capacità di stare in sé e uscire da sè, il movimento di non coincidenza con il limite, che più di tutto cura, che rivela il piccolo e il grande che incarniamo, la nostra essenza finita e infinita.

Un secolo prima di lei, Plotino ne parlava già: l’estasi come culmine delle possibilità umane, che dà senso, etica, valore all’individuo. Un viaggio a ritroso che il soggetto può compiere, a partire dalla ragione che abbandona la pretesa razionalista, lascia andare lo sguardo sull’oggetto e lo rivolge dentro di sè, alla ricerca della propria origine. Ripercorrendo la storia della sua emanazione, del suo sviluppo, il soggetto incontra il senso di un “principio”, che non può cogliere, non può possedere, ma che può lasciare che lo possegga.

Jacques Lacan lo definisce “l’Altro”, e l’Altro per antonomasia non può essere che il divino, che è ri-conosciuto perchè non è mai conosciuto, nel senso che si percepisce che è, lo si ritrova e, al tempo stesso, sfugge alla conoscenza, non lo si possiede. La sua mancanza origina il desiderio, l’afflato, la passione che anima una vita intera, e l’arte che corre intorno al vuoto con la bellezza.  Quando la ragione smette di esercitare il suo limite e si abbandona alla possibilità di essere posseduta da qualcosa che la trascenda. Lo si chiami Dio, “Uno”, sacro, vita, poco importa.[…]

Ci sono infinite strade per favorire quell’istante magico: lo sguardo che contempla senza cercare di capire o di possedere, la scintilla oltre la porta socchiusa, un varco della coscienza nel senza tempo in cui il senso viene colto, ed ecco che la persona si riconnette al Sè, al mistero da cui proviene. Eppure nessuna funziona senza quell’abbandono che non è perdita della ragione, ma è il superamento di un limite. E tutte funzionano quando quell’abbandono arriva.

 

Rievocazione

Estratto da “Un nuovo mondo” di Eckhart Tolle –  Ed. Mondadori

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Terra, 114 milioni di anni fa, in una mattina appena dopo l’alba: il primo fiore mai apparso sul pianeta si schiude a ricevere i raggi del sole. Il pianeta era ricoperto di vegetazione già da milioni di anni prima di questo importante evento che preannunciava una grande trasformazione evolutiva nella vita delle piante; consideranto che le condizioni non erano ancora favorevoli perché si diffondesse una fioritura più estesa, probabilmente il primo fiore non è sopravvissuto per molto tempo e i fiori devono essere rimasti un fenomeno raro e isolato. Eppure un giorno una soglia estremamente importante è stata superata e improvvisamente deve esservi stata un’esplosione di colori e profumi su tutto il pianeta se solo la percezione della consapevolezza fosse stata là a testimoniare l’evento.

Molto più tardi, quegli esseri delicati e fragranti che chiamiamo fiori avrebbero giocato un ruolo essenziale nell’evoluzione della coscienza di altre specie. Gli umani ne sarebbero stati sempre più attratti e affascinati. Mentre la consapevolezza degli esseri umani si sviluppava, i fiori sono stati molto probabilmente la prima cosa che non avesse uno scopo utilitario alla quale essi hanno dato valore, una cosa che non fosse in alcun modo legata alla sopravvivenza. Sono stati una fonte di ispirazione per innumerevoli artisti, poeti e mistici. Gesù ha detto di contemplare i fiori per imparare da loro a vivere. Si racconta che il Buddha abbia tenuto una volta un sermone silenzioso durante il quale ha solamente guardato un fiore. Dopo un po’, uno dei presenti, un monaco chiamato Maha-Kashyapa, ha cominciato a sorridere. Si dice che sia stato l’unico a comprendere il sermone.  Secondo la leggenda, quel sorriso (che viene detto “realizzazione”) è passato successivamente attraverso ventotto maestri fino a divenire più tardi l’origine dello zen.

Vedere la bellezza di un fiore puo’, anche se brevemente, risvegliare gli umani alla bellezza perché questa è una parte essenziale del loro più profondo essere, della loro vera natura. L’iniziale riconoscimento della bellezza è stato uno degli eventi più significativi nell’evoluzione della coscienza umana. I sentimenti di gioia e di amore sono intrinsecamente connessi con quel riconoscimento. Senza che ce ne rendessimo completamente conto, i fiori sarebbero diventati per noi un’espressione della forma di ciò che è più alto e più sacro, in definitiva di una non-forma.  Non solamente avevano un aroma soave e piacevole per gli umani ma avevano in sé anche una fragranza del mondo dello spirito. Usando la parola “illuminazione” in un senso più ampio di quello convenzionalmente accettato, potremmo vedere i fiori come l’illuminazione delle piante.

Qualunque forma di vita in ogni regno, sia esso minerale, vegetale o animale può essere soggetta all'”Illuminazione”. Ma è in ogni caso un avvenimento estremamente raro poiché è più che una progressione nell’evoluzione: comporta anche una discontinuità nello sviluppo, un balzo a un livello ben differente dell’Essere e, molto più importante, una diminuzione della materialità.

Cosa può essere più pesante e più impenetrabile di una pietra, la più densa di tutte le forme? Eppure alcune pietre subiscono un cambiamento nella loro struttura molecolare transformandosi in cristalli, e così diventano trasparenti alla luce. Alcuni carboni, sotto l’azione di un calore e di una pressione inimmaginabili, si trasformano in diamanti e alcuni minerali pesanti in pietre preziose.

Molti rettili che strisciano, fra tutte le creature quelle più legate alla terra, non sono cambiati per milioni di anni. Ma ad alcuni sono spuntate le piume e le ali e sono diventati uccelli, sfidando in tal modo la forza di gravità che li aveva trattenuti per così tanto tempo. Non hanno imparato a strisciare o a camminare meglio, hanno invece trasceso completamente lo strisciare e il camminare.

Fin da tempi immemorabili, i fiori, i cristalli, le pietre preziose e gli uccelli hanno avuto, per lo spirito umano, uno speciale significato.  Come tutte le forme di vita, sono ovviamente manifestazioni temporanee di una sola Vita che contiene tutto, di una sola Coscienza. La ragione e lo speciale significato per cui tutti gli umani ne sono affascinati e sentono questa affinità possono attribuirsi alla loro qualità eterea.

Quando vi è un certo grado di Presenza, di quiete e di attenzione vigile, gli esseri umani possono percepire in ogni creatura, in ogni forma vitale, l’essenza divina della vita, la consapevolezza infusa o lo spirito, e possono riconoscerla come la loro stessa essenza e così amarla come loro stessi. Fino a che ciò non accade, molti umani vedono solamente la forma esterna, e quindi si identificano solo con la forma fisica e psicologica, inconsapevoli dell’essenza interiore, proprio come sono inconsapevoli della loro stessa essenza.

Nel caso di un fiore, di un cristallo, di una pietra preziosa o di un uccello, anche qualcuno con poca o nessuna Presenza può di tanto in tanto  percepire che vi è in quella forma più della mera esistenza fisica e sentire un’affinità senza sapere che questa è la ragione per la quale ne è tanto attratto. Per la loro natura incorporea, in quelle forme oscurano lo spirito che le abita meno di quanto accada in altre forme di vita.

Fanno eccezione tutte le forme di vita appena nate: i bambini, i cagnolini, i gattini, gli agnelli e così via. Sono fragili, delicati, non ancora stabilizzati nella materia. In loro risplendono ancora una innocenza, una dolcezza, una bellezza che non sono di questo mondo. Sono una fonte di grande gioia persino per umani relativamente insensibili.

Quando siete in uno stato vigile e contemplate un fiore, un cristallo o un uccello, senza etichettarlo mentalmente, ciò diventa per voi una finestra sulla non-forma. Vi è allora un’apertura interiore, anche se piccola, verso il regno dello spirito. Questo è il motivo per il quale queste tre forme di vita illuminata hanno avuto una parte così importante nell’evoluzione della coscienza umana fin dai tempi più antichi; per esempio, il gioiello nel fior di loto è un simbolo fondamentale nel Buddhismo, e un uccello bianco, la colomba, simboleggia per il Cristianesimo lo Spirito Santo.

Hanno preparato il terreno per un più profondo cambiamento nella coscienza planetaria destinato ad accadere alla specie umana.

 

Scegliere

Estratto da: “Pensieri Quotidiani 2003” di Omraam Michail Aivanhov – Ed.Prosveta

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In che cosa consiste la nostra libertà nella vita? Unicamente nello scegliere la direzione che vogliamo prendere. In seguito nient’altro dipenderà da noi. Spesso paragoniamo la vita a un viaggio. Ebbene, esaminiamo questa similitudine.

Dovete partire per le vacanze e davanti a voi si aprono tutte le destinazioni possibili: mare, montagna, deserto, campagna, boschi. Ipotizziamo che voi scegliate la montagna, le Alpi. A partire da quel momento sapete che troverete determinati fiumi, determinati laghi e determinate cime. Se aveste scelto il mare o il deserto, le cose sarebbero state del tutto diverse. Quindi voi avete soltanto la facoltà di scegliere la direzione da prendere, poi verrete a trovarvi in mezzo a paesaggi che esistono da lunghissimo tempo e che esisteranno per lungo tempo dopo che ve ne sarete andati.

La stessa cosa avviene per la nostra vita interiore. Abbiamo soltanto la facoltà di scegliere dove vogliamo andare: sabbie mobili, paludi e foreste pericolose… oppure pianure fertili o parchi pieni di uccelli e di fiori. Tutte le felicità e tutte le disgrazie esistono già, altri le hanno conosciute prima di noi, a noi spetta solo decidere di andarci oppure no.

 

Il cammino del tiro con l’arco

Estratto da “Sono come il fiume che scorre” di Paulo Coelho – Ed. Bompiani
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L’importanza di ripetere la stessa cosa. Un’azione è un pensiero che si manifesta.
Un piccolo gesto ci rivela al mondo, sicché dobbiamo perfezionarlo, pensare ai dettagli, apprendere la tecnica fino a quando non diventi qualcosa di intuitivo. L’intuizione non ha niente a che vedere con la routine: riguarda piuttosto uno stato d’animo che travalica anche la tecnica.
Così, dopo una lunga pratica, non ci soffermeremo più a pensare a tutti i movimenti necessari: entrano a far parte della nostra esistenza. Tuttavia è indispensabile continuare ad allenarsi e a ripetere. A ripetere e ad allenarsi.
Provate a osservare un fabbro che forgia l’acciaio: per un occhio non allenato, egli seguita a battere le medesime martellate. Per lo sguardo di chi conosce l’importanza dell’allenamento, invece, l’intensità del colpo è diversa ogni volta che l’uomo alza e abbassa il martello. La mano ripete lo stesso gesto ma, via via che si avvicina al ferro, apprende se deve colpirlo con maggior forza o in modo più delicato.
Provate a osservare un mulino a vento. Per chi guarda le pale una sola volta, sembra che esse ruotino a una velocità costante, ripetendo un identico movimento, ma coloro che hanno dimestichezza con i mulini sanno che il moto delle pale è condizionato dal vento e cambia direzione ogniqualvolta si renda necessario.
La mano del fabbro ha appreso a martellare correttamente dopo aver ripetuto migliaia di volte il gesto di battere sul ferro; le pale del mulino sono in grado di mutare rapidamente il senso di marcia dopo che il vento, soffiando forte, ha reso più scorrevoli i loro ingranaggi.
L’arciere accetta che molte frecce sibilino lontano dal bersagli, perché sa che apprenderà l’importanza dell’arco, della posizione, della corda e del centro solo dopo aver ripetuto i propri gesti migliaia di volte, senza timore di sbagliare.
Arriva sempre il momento in cui non è più necessario pensare a ciò che stai facendo. È allora che l’arciere si immedesima nell’arco, nella freccia e nel bersaglio.

Come osservare il volo della freccia. La freccia è l’intenzione che si proietta nello spazio.
Dopo che è stata scoccata, l’arciere non può più fare niente – soltanto accompagnarla con lo sguardo nella sua traiettoria verso il bersaglio. Adesso la tensione necessaria per il tiro non ha più ragione di esistere.
E così, mentre l’arciere tiene gli occhi fissi sul volo della freccia, il suo cuore riposa – ed egli sorride.
Se si è allenato in modo soddisfacente, se è riuscito a sviluppare il proprio istinto, se ha mantenuto la grazia e la concentrazione durante l’intera fase di tiro, in quel momento l’arciere avvertirà la presenza dell’Universo e scoprirà che il suo atto è stato giusto e meritato.
La tecnica fa in modo che le mani siano pronte, che il respiro sia calmo e che gli occhi sappiano mirare il bersaglio con precisione; l’istinto fa sì che il momento del tiro sia perfetto.
Chi si troverà a passare vicino all’arciere e lo vedrà con le braccia spalancate, mentre segue la freccia con lo sguardo, penserà che sia immobile, insensibile. Ma le persone sensibili – gli individui che conoscono i segreti dell’anima – sanno che la mente di chi ha scoccato il dardo adesso si trova in un’altra dimensione, è in contatto con tutto l’Universo: è ancora al lavoro, impegnata a rivisitare e immagazzinare gli elementi positivi di quel tiro, a correggerne gli eventuali errori e a verificarne le qualità, in attesa di cogliere la reazione del bersaglio nel momento in cui verrà colpito.
Quando l’arciere tende la corda, nel suo arco può vedere il mondo intero. Quando accompagna con lo sguardo il volo della freccia, esso gli si avvicina, lo accarezza e gli consente di provare la sensazione meravigliosa di un compito portato a termine.
Dopo aver fatto il proprio dovere e trasformato l’intenzione in gesto, un guerriero della luce non deve temere alcunché: ha fatto ciò che doveva. Non si è lasciato paralizzare dalla paura. Anche se la freccia non colpisce il bersaglio, avrà un’altra opportunità, perché non si è dimostrato codardo.