di Ermanna
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Segue da Parte prima
Nel concetto di chiusura identifichiamo tradizionalmente l’energia della morte, della fine e del “non esiste più”, come mancanza o perdita. Questa prospettiva può dare al termine, oltre a quanto detto, un senso di esclusione, respingimento o un allontanamento da qualcosa di fastidioso e insopportabile, che ha fatto soffrire. Un voltare le spalle con disdegno e rabbia. Ma non è nel dire “basta” che si elimina un evento a livello emozionale, perché si rinnova costantemente ogni volta che qualcosa ce lo rammenta.
La chiusura va considerata invece come fine di un ciclo, come conclusione di qualcosa che non ha più necessità di continuare, che ha finito la sua funzione formativa. Ogni persona, ogni essere vivente o meno, ha un suo inizio, uno sviluppo per arrivare alla sua massima espressione, per poi recedere fino alla sua spontanea conclusione. Lo stesso vale per le situazioni di vario genere e le relazioni. Esse possono durare anche tutta una vita, se la loro funzione e il loro scopo vengono alimentati e rimangono vitali. In caso contrario giungeranno al termine, sia che lo vogliamo oppure no. La vita ha il suo scopo, il suo motivo di essere nell’evoluzione. Una fine non significa qualcosa di totalizzante che fa sparire tutto di punto in bianco. Noi non sappiamo come e dove si trasferisce ciò che ha concluso il suo percorso su questa terra.
È grazie all’energia della conclusione, compensativa a quella della vita, che l’esistenza riprende con nuovo vigore. E questo può accadere solo se viene compresa la fine di ogni ciclo e si accoglie il suo termine con cuore sereno.
Come possiamo intraprendere qualcosa di nuovo, con energie depauperate e stanche? Come possiamo iniziare un nuovo ciclo, se non chiudiamo quello precedente che continua a sottrarci vitalità?
Dalla natura abbiamo imparato che ciò che muore viene trasformato e rimesso in circolo per dare nuovo impulso alla creazione. Essa non piange, non si oppone, non si dispera. Si lascia trasformare. Nulla si crea e nulla si distrugge, – lo ha detto Einstein – e tutto si trasforma. Resta in circolo ciò che nutre.
Esattamente come la spada di Grifondoro in Harry Potter: separa ciò che è utile da ciò che non lo è. Seleziona. E “assorbe solo ciò che la fortifica”.
Quando desideriamo che un’esperienza conclusa sia la base del nuovo, è bene lasciarla andare in serenità. Fare ciò è comprendere che quello che abbiamo vissuto ha creato un insegnamento per noi. Molto importante è riconoscerne il valore per riuscire a scrollarci di dosso un carico emotivo pesante.
Se non siamo in sintonia con il movimento energetico della chiusura, se non lo abbiamo compreso, non potremo recidere il legame con ciò che abbiamo vissuto e tratterremo ancora una parte dell’esperienza; ne saremo sempre influenzati, appesantiti. Questo fardello impedirà un rinnovamento effettivo, un’apertura sincera ed efficace, scevra da qualsiasi condizionamento precedente. Senza la capacità e la volontà di chiudere, non permettiamo l’ingresso di nuove esperienze, di nuovi sentimenti, di nuove relazioni, semplicemente perché non abbiamo creato lo spazio per accoglierle.
A questo punto la chiusura si rivela non come un’azione atta a tagliare i ponti con il passato, con le persone che ci hanno fatto soffrire, come un mezzo per dimenticare il brutto – ma anche il bello – di quanto accaduto, bensì come alleato. Un alleato che ci aiuta a fare spazio dentro di noi per accogliere il nuovo. Non possiamo collocare mobili nuovi, se prima non liberiamo la stanza da ciò che è vecchio.
Messa in questi termini, la fine di ogni ciclo offre la possibilità di fermarsi un momento per ricordare e riconoscere quanto di bello e utile è stato prodotto e come ha arricchito la nostra esistenza (assorbe solo ciò che la fortifica), lasciando andare il dolore, il rimpianto, il rancore, la rabbia o sentimenti negativi nei confronti di coloro che hanno partecipato e condiviso la nostra esperienza.
Riconoscere il termine di ciò che non è più funzionale per la nostra vita e operare con l’intento di lasciar andare il superfluo, è liberatorio. È decidere di uscire da una stanza e chiudere la porta dopo aver spento una luce che, altrimenti, avrebbe continuato a consumare elettricità a nostra insaputa.
Una chiusura “ben fatta” non dipende dagli altri. Dipende da noi. È un lavoro molto personale. Non possiamo delegare ad altri il compito di spegnere la luce in casa nostra. Non possiamo chiedere agli altri di sanare le nostre emozioni, le nostre ferite. Non possiamo far entrare il nuovo nel nostro cuore, se prima non eliminiamo emozioni come tristezza, dolore, paura, rancore e rimpianto che vi albergano.
Chiudere con questo intento non porta la dimenticanza. Harry ricorda tutti gli avvenimenti e le persone coinvolte, ma ha trovato pace e serenità permettendo a se stesso di essere nutrito dai sentimenti positivi che quelle esperienze gli hanno lasciato.
Per poterlo fare, è opportuno riconoscere che ogni esperienza è stata utile – anche se non lo vogliamo ammettere -, e che, avendo concluso il suo ciclo, si è trasformata in zavorra da scaricare. Decidere di operare in tal senso, ci rende responsabili di noi e disponibili a lasciare andare ciò che ci ha ferito, spaventato (anche una malattia), che ha creato tensioni e difficoltà, sapendo che siamo noi ad avere nelle nostre mani il boccino d’oro contenente la pietra della nostra resurrezione.
Comprendere qual è il momento opportuno per chiudere un’esperienza, è una capacità fondamentale tanto quanto sapere come agire la chiusura in modo che non lasci risonanze dentro di noi nel futuro.
Ogni momento è corretto per poter mettere in atto una chiusura, ma la fine dell’anno è sicuramente un momento in cui vogliamo dimenticare ciò che lasciamo, per sperare in quello che il nuovo anno potrebbe portare.
È proprio in questo particolare periodo che abbiamo l’opportunità di raccoglierci in riflessione e liberarci da pesi che sono diventati superflui: togliamo loro energia per riappropriarcene, in modo da aprire davvero le porte al nuovo.
Una frase ormai più che abusata, ma che secondo me mantiene un suo significato profondo, è “Quando si chiude una porta, se ne apre un’altra”. Molti sostengono che non sia vero.
Pensiamo a questo… abbiamo veramente chiuso quella porta o l’abbiamo lasciata aperta?
