Le riflessioni riportate in questo articolo sono trasferibili anche ai contesti sociali nei quali viviamo costantemente: famiglia, lavoro, gruppi sportivi e di qualsiasi altro genere. Inconsciamente si dà per scontato che la lingua comune (italiano, nel nostro caso) sia sufficiente per comprendersi. Spesso non è così.
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Estratto da “ I quaderni dell’Università del volontariato “
Le organizzazioni di volontariato alla luce delle teorie sui gruppi – Cap. 3.2. pag. 22 Allegato a: V dossier – Rivista periodica dei Centri di Servizio per il volontariato di Marche, Messina e Milano – dic. 2013 anno 4 – numero 2.

La comunicazione è qualsiasi operazione che ponga in relazione dei soggetti umani e che consista nel trasmettere una conoscenza, un’informazione, un’emozione; più precisamente è un rapporto interumano, un «contatto» avente come scopo quello di fare partecipi gli individui appartenenti a quel gruppo della conoscenza o presa di coscienza di qualche cosa, attraverso uno scambio di informazioni (1). È ovvio che fra i componenti di un gruppo ogni scambio di informazione implica anche scambio di significati, che dipendono dalle epistemologie di ciascun componente e del gruppo nel suo insieme. Vale la pena ricordare quanto afferma Bateson: «Vedete, io non penso che un’azione o una parola siano una definizione sufficiente di se stesse; credo invece che un’azione o la targhetta posta su un’esperienza debbano essere sempre viste, come si dice, in un contesto. E il contesto di ciascuna azione è formato dall’intera rete dell’epistemologia e dallo stato di tutti i sistemi implicati, con la storia che ha portato a questo stato. Ciò che noi crediamo di essere dovrebbe essere compatibile con ciò che crediamo del mondo intorno a noi» (Bateson, Dove gli angeli esitano 1990, p.266).
Ogni persona vive una serie di esperienze e raccoglie, attraverso i suoi canali percettivi, una infinità di osservazioni; tra tutte queste ne seleziona alcune, che poi trasforma a partire da una serie di variabili sia personali sia di contesto. Queste vengono poi trasformate in descrizioni, cioè vengono tradotte in un «linguaggio» che le rende comprensibili anche ad altri, che a loro volta trasformano in idee proprie quelle determinate esperienze.
Risulta chiaro, da questa descrizione molto sommaria, come il passaggio di informazioni comporti continui aggiustamenti dei messaggi e continue trasformazioni; si pone allora una domanda fondamentale per il lavoro di una organizzazione: quali informazioni possono essere utili e come possono costituire un bagaglio comune per i componenti del gruppo di lavoro? Al di là del modello circolare in cui tutti hanno a disposizione tutte le informazioni, modello ideale e assolutamente impercorribile oltre che probabilmente dannoso, è possibile tentare una risposta attraverso il concetto di “unità informativa”. Le informazioni a disposizione di ogni componente vengono selezionate in base alla loro significatività in relazione agli obiettivi e ai contenuti del lavoro dell’associazione nel suo complesso e in quel momento particolare; è necessario un chiarimento continuo su questo livello metodologico, così da consentire a ciascuno di avere a disposizione un filtro il più possibile comune e condiviso. Questo procedimento non elimina comunque il problema dei filtri personali, nel modo di leggere e descrivere la realtà, ma consente uno scarto minore almeno rispetto alle variabili esplicitabili. Dopo questa operazione preliminare, le informazioni vengono messe in comune ed elaborate alla luce di quelle degli altri sino ad arrivare a costituire un bagaglio unico. Sempre Miller, tra le sue ipotesi, sostiene che: «Quanto maggiore è l’interazione tra due sistemi (o tra componenti di uno stesso sistema(2)), tanto più simile diviene la distribuzione dell’informazione comune» (Miller 1986, p.267). Si può quindi supporre che questo sia un processo auto rinforzantesi; aumentandolo scambio di informazioni aumenta la capacità interna del sistema di distribuire le stesse fra i membri, potenziando le modalità di flusso delle comunicazioni. Sono cioè unità informative tutte quelle informazioni, ad ogni livello, comuni e condivise che possono apportare un mutamento all’operatività. A questo punto ogni membro ha a disposizione ulteriori elementi per poter operare, ed in base a questi e alle esperienze successive acquisirà nuove informazioni che andranno a formare successivamente una nuova unità informativa, e così di seguito.
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(1) Il concetto di informazione non coincide con quello di significato. Significato è il valore che ogni informazione assume per il sistema che la elabora: esso comporta un cambiamento in quei processi del sistema attivati dall’informazione, che spesso risultano da associazioni stabilite nella precedente esperienza con quello stesso significato. Miller, definisce l’informazione come «il grado di libertà esistente, in una data situazione, di scegliere tra segnali, simboli, messaggi o configurazioni che debbono essere trasmessi» (Miller, James G. Teoria generale dei sistemi viventi. Milano: Franco Angeli, 1986.).
(2) Sistema = gruppo.
http://www.csvlombardia.it/wp-content/uploads/2019/02/Udv_La-gestione-dei-gruppi.pdf

