Estratto da “Educare alla vita” di Jiddu Krishnamurti – Edizioni Oscar Mondadori
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Non è ignorante chi non ha studiato, ma chi non conosce se stesso; anche una persona istruita è stolta se per raggiungere la comprensione si affida solo ai libri, al sapere e all’autorità altrui. La com-prensione giunge solo con la conoscenza di sé, cioè con la consapevolezza del proprio processo psicologico nella sua totalità. L’educazione, nel suo significato più alto, é la comprensione di sé, perché dentro ciascuno di noi è contenuta tutta l’esistenza.
Quello che ora definiamo “educazione” é solo un accumulo di informazioni e di conoscenze libresche: per acquisirle é sufficiente saper leggere. Un’educazione di questo tipo ci offre un’abile via di fuga da noi stessi, ma come tutte le fughe anch’essa genera inevitabilmente infelicità. Confusione e conflitto sono il risultato del rapporto sbagliato che abbiamo con le persone, le cose e le idee, e finché non capiamo questo rapporto e non lo modifichiamo, il sapere, la raccolta di dati o un’acquisizione di abilità diverse ci fa solo sprofondare nel caos e nella distruzione.
Per come è organizzata ora la società, mandiamo a scuola i nostri figli perché imparino delle tecniche con cui un giorno potranno guadagnarsi da vivere. Prima di tutto vogliamo che diventino degli specialisti, sperando così di garantire loro una posizione economica sicura. Ma coltivare una tecnica ci rende davvero capaci di capire noi stessi?
Certo è necessario saper leggere e scrivere, e anche imparare un mestiere, diventare ingegneri o altro, ma la tecnica ci dà forse la capacità di comprendere la vita? Essa non è la cosa più importante e se diventa l’unico bene per cui lottiamo, vuol dire che stiamo negando la parte più importante dell’esistenza.
La vita è gioia, dolore, bellezza, bruttezza, amore, e quando la comprendiamo nella sua totalità, a tutti livelli, allora la nostra comprensione crea la sua propria tecnica. Ma non vale il contrario: la tecnica non è mai in grado di generare una comprensione creativa.
[…] Se coltiviamo la capacità e l’efficienza senza comprendere la vita, senza la percezione totale delle modalità del pensiero e del desiderio, diventiamo sempre più spietati, provo-chiamo guerre e mettiamo a repentaglio la nostra stessa vita. Lo studio esclusivo della tecnica ha prodotto scienziati, matematici, ingegneri, astronauti, ma davvero essi com-prendono processo globale dell’esistenza? Uno specialista in grado di sperimentare la vita nella sua totalità? Di certo solo quando smette di essere uno specialista.
Il progresso tecnologico risolve alcuni tipi di problemi per un dato numero di persone e a un certo livello, ma genera anche problematiche più profonde e più ampie. Vivere a un solo livello, ignorando il processo totale della vita, comporta infelicità e distruzione. Il bisogno più grande di ogni individuo, il suo problema più urgente, é quello di avere una compren-sione integrale della vita che lo aiuti ad affrontarne la complessità sempre crescente.
Il sapere tecnico, benché necessario, non risolverà in alcun modo i nostri conflitti o il nostro disagio psicologico; ed è proprio perché abbiamo acquisito un sapere tecnico senza comprendere il processo totale dell’esistenza che la tecnologia è diventata uno strumento di distruzione. L’uomo che sa scindere l’atomo, ma non ha l’amore nel cuore diventa un mostro.
[…] Il lavoro può tenerci occupati per quasi tutta l’esistenza, ma gli oggetti che produ-ciamo e che ci mandano in estasi sono gli stessi che causano distruzione e miseria. I nostri atteggiamenti e i nostri valori fanno dei beni materiali e delle professioni gli strumenti di invidia, amarezza e odio.
Senza la comprensione di sé, il lavoro genera solo frustrazione e il desiderio inevitabile di evadere anche attraverso comportamenti nocivi. […] Il progresso tecnologico è meravi-glioso, ma ha di fatto accresciuto la nostra capacità di distruggerci a vicenda, e dappertutto c’è fame miseria. Non siamo felici né in pace.
Quando il dovere diventa la cosa più importante, la vita si fa monotona e noiosa, una routine sterile e meccanica da cui cerchiamo di fuggire distraendoci. L’accumulo di conoscenze e lo sviluppo di abilità, che chiamiamo educazione, ci ha privato della pienezza di una vita e di un comportamento integri. Poiché non capiamo il processo totale dell’esistenza ci aggrappiamo all’efficienza e alla capacità, che assumono così un’impor-tanza spropositata. Ma la parte non può farci comprendere il tutto, che può essere abbracciato solo con l’azione e l’esperienza.
Un altro aspetto dell’istruzione tecnica é che essa ci dà un senso di sicurezza, non solo economica, ma anche psicologica; é rassicurante sapere che siamo capaci ed efficienti. Saper suonare il piano o costruirsi la casa ci dà un senso di vitalità, di indipendenza aggressiva; ma dare enfasi eccessiva le proprie abilità per un desiderio di sicurezza psicologica significa negare la pienezza della vita. Non si può prevedere cosa essa ci riservi, dobbiamo farne esperienza momento per momento; ma noi temiamo l’ignoto, e così definiamo spazi psicologici di sicurezza sotto forma di sistemi, tecniche e dottrine. Finché cerchiamo la sicurezza interiore non possiamo capire il processo della vita nella sua totalità.
Il giusto tipo di educazione, pur incoraggiando l’apprendimento di tecniche, dovrebbe realizzare un fine molto più importante: aiutare l’individuo a sperimentare il processo inte-grale della vita. Solo così la capacità e la tecnica trovano la loro giusta collocazione. Se si ha davvero qualcosa da dire, il fatto stesso di dirlo crea un suo stile proprio; ma imparare uno stile senza l’esperienza interiore produce solo superficialità.
Ovunque ci si affanna a progettare macchine che non abbiano bisogno dell’uomo per funzionare. In un mondo governato quasi interamente dalle macchine, che ne sarà degli esseri umani? Avremo sempre più tempo libero senza sapere come impiegarlo in modo costruttivo e cercheremo di evadere attraverso il sapere, i divertimenti futili o gli ideali.
Si sono scritti tantissimi libri sull’educazione ideale, eppure siamo più confusi che mai. Non esiste un metodo per educare un bambino a essere libero e integro. Finché ci preoccupiamo dei principi, degli ideali e dei metodi, non aiutiamo l’individuo a liberarsi dall’egocentrismo con il suo carico di paure e conflitti.
Gli ideali e i programmi per un’utopia perfetta non produrranno mai il mutamento radicale del cuore, essenziale per porre fine alla guerra e alla distruzione universale. Gli ideali non possono trasformare i nostri valori attuali, il cambiamento può venire solo grazie a un giusto tipo di educazione, che deve favorire la comprensione di ciò che è.
Quando lavoriamo insieme per un ideale, per il futuro, formiamo gli individui secondo il concetto che abbiamo in mente; non siamo affatto interessati agli esseri umani, ma solo alla nostra idea di come dovrebbero essere. Come una persona dovrebbe essere diventa molto più importante di come è realmente, con tutte le sue complessità. Se cominciamo comprendere l’individuo direttamente, invece di considerarlo per come dovrebbe essere secondo noi, allora siamo interessati a ciò che è. A questo punto non vogliamo più tra-sformarlo in qualcosa d’altro; la nostra preoccupazione principale diviene quella di aiutarlo a comprendere se stesso, senza motivazioni o vantaggi personali. Se siamo pienamente consapevoli di ciò che è, allora possiamo comprenderlo ed esserne liberi; ma per essere consapevoli di ciò che siamo, dobbiamo smettere di affannarci per ciò che non siamo.
Gli ideali non hanno posto nell’educazione perché ostacolano la comprensione del pre-sente: possiamo diventare consapevoli di ciò che è solo se non ci rifugiamo nel futuro. Guardare al futuro, lottare per un ideale, indica pigrizia mentale e il desiderio di evitare il presente.
Inseguire un’utopia preconfezionata non equivale forse a negare la libertà e l’integrità dell’individuo? Quando seguiamo un ideale, uno schema, una formula che ci indicano ciò che dovrebbe essere, non viviamo una vita superficiale e da automi? Non abbiamo bisogno di idealisti o di menti meccaniche, ma di persone integre, intelligenti e libere. Il progetto di una società perfetta ci porta solo a batterci e a spargere sangue per ciò che dovrebbe essere, mentre continuiamo a ignorare ciò che è.
[…] Tra ora e il futuro vi è un intervallo immenso durante il quale subiremo molte influenze, e se sacrifichiamo il presente per il futuro stiamo usando mezzi sbagliati per un fine forse anche giusto. Ma i mezzi determinano il fine, e poi chi siamo noi per decidere cosa dovrebbe essere una persona? Con che diritto cerchiamo di plasmarla secondo uno schema preciso, appreso dai libri o determinato dalle nostre ambizioni, dai nostri timori o dalle nostre speranze?
Il tipo giusto di educazione non è interessato ad alcuna ideologia, per quanto questa possa promettere un’utopia futura; non si basa su un sistema, neanche se è stato vagliato con cura; non è neppure uno strumento per condizionare l’individuo in un modo particola-re. Educare nel vero senso del termine significa aiutare una persona a essere matura e libera, e a fiorire in amore e bontà.
[…] Solo l’amore ci permette di capire l’altro. Dove c’è amore c’è anche comunione immediata, sullo stesso piano e simultaneamente.