Diventare ciò che si è

Estratto da “ La forza di essere migliori” di Vito Mancuso – Garzanti Editore

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“Diventare ciò che si è”: il verbo diventare rimanda a un processo e indica due cose. La prima è che ognuno di noi, così come vive immediatamente, non è ciò che è veramente; che cioè tra la nostra vita di fatto e la nostra esistenza autentica non si dà coincidenza immediata, e che quindi essere se stessi richiede un lavoro, nonché la forza di poterlo svolgere. Nasciamo dipendenti in tutto e per tutto e trascorriamo buona parte della vita da gregari, ovvero, come dice la radice dell’aggettivo, completamente inseriti all’interno di un gregge che ci determina nella direzione, nella velocità, nello stile e quindi necessariamente nell’identità. Il lavoro dell’etica nella sua fase iniziale consiste quindi anzitutto nel distaccarsi dal gregge, nel cominciare a camminare in solitaria e diventare in questo modo egregi, letteralmente “fuori dal gregge” (ex-grege). Per diventare se stessi si deve anzitutto decidere di non essere più come ci vogliono gli altri, siano essi i genitori, gli amici, il partner, i figli, il movimento, la religione, la moda, la società dei consumi e chissà che altro.
La seconda conseguenza implicita nel verbo diventare è l’indicazione che si tratta di un lavoro realizzabile: è cioè davvero possibile diventare ciò che si è. Diversamente da chi afferma, magari con un’alzata di spalle: “Guarda, non ci posso fare niente, io sono fatto così”, l’insegnamento delle grandi tradizioni spirituali è unanime nell’affermare il contrario: ognuno più cambiare la sua condizione di partenza e diventare migliore realizzando autenticamente se stesso. I frutti del lavoro interiore sono del resto facilmente riconoscibili, basta aprire gli occhi per vedere che vi sono esseri umani che, a prescindere dal successo ottenuto, in quanto umani risultano falliti: sono incapaci di ascolto e di contatti reali perché imprigionati dentro la terribile gabbia mentale dell’ego: oppure tragicamente scontenti di sé e della vita, imbruttiti, sfiduciati, incattiviti; oppure sommersi nelle acque salmastre dell’ignoranza e della stupidità. E vi sono invece altri esseri umani che vivono lieti, sereni, grati della loro condizione: persone sul cui volto risplende la luce dell’intelligenza e della bontà, che hanno saputo conservare la fiducia nella vita, e l’attenzione al suo inesauribile mistero, che non hanno tradito l’energia dell’infanzia ma hanno conservato la capacità di stupirsi e per questo infondono gioia al solo incontrarle. Insomma vi sono persone infelici e colleriche che trasmettono energia negativa e vi sono persone felici e serene che trasmettono energia positiva. Da cosa dipende questa differenza?
Non è facile rispondere, ma io penso che dipenda in gran parte dal lavoro compiuto. Esattamente come quando si vede un giardino o un vigneto e l’occhio esperto riconosce all’istante la qualità della fatica profusa, allo stesso modo, quando si sente parlare o si osserva in azione un essere umano è sufficiente poco per rendersi conto della qualità della sua interiorità e intravedere le erbacce o i frutti saporiti che essa nasconde. Il lavoro interiore infatti consiste anzitutto nello sradicamento delle erbacce e delle malapiante che, chissà perché e chissà da dove, spuntano spesso dentro di noi, e poi nell’assidua coltivazione del terreno in cui riposa il seme del più autentico sé per farlo fiorire e fruttificare.

Una questione di igiene
Volendo esprimere il concetto con un’altra metafora, direi che il lavoro interiore è primariamente una questione di igiene. Quando si parla di igiene pensiamo d’istinto al corpo, il che è normale visto che il corpo si sporca quotidianamente per il fatto stesso di vivere: gli avanzi di cibo si depositano sui denti, il sudore si secca lasciando un sentore di acido, le cellule morte si accumulano, e la continua secrezione di sebo che rende morbida la pelle finisce per renderla anche inevitabilmente maleodorante. Il nostro corpo produce sporcizia per il fatto stesso di essere, non ne può fare a meno, e ci obbliga a lavarlo con cura. Ma io chiedo: questa cura dell’igiene non dovrebbe vale allo stesso modo anche per la nostra interiorità? Non si sporca anche lei per il fatto stesso di vivere? Non richiede anche lei di essere pulita? E se sì, qual è la sua doccia o il suo spazzolino?
Con il termine volutamente neutro di interiorità intendo quella dimensione del nostro essere variamente denominata, per esempio psiche, sé, mente, coscienza, cuore, anima, spirito, ipseità, ego, io … su cui le opinioni degli umani non sono mai state concordi e oggi risultano più confuse che mai. Ebbene il lavoro interiore consiste nel ripulire e risanare questa nostra misteriosa ma reale interiorità. Come ci prendiamo cura del corpo mediante l’igiene personale, così dovremmo lavare, spazzare, strigliare la nostra interiorità. Essere migliori in questa prospettiva è quindi anzitutto una questione di igiene, al fine di ottenere, come di usa dire, una coscienza pulita.
È infatti proprio quella peculiare disposizione della nostra più preziosa energia interiore che chiamiamo coscienza su cui mi soffermerò con attenzione più avanti, il principale fattore che ci fa essere migliori come esseri umani.

Migliori come esseri umani
Migliori come esseri umani? Non sto dicendo migliori come studenti, insegnanti, artigiani, dirigenti, atleti, giudici, imprenditori o che altro, secondo i sempre più esigenti parametri che ci vengono quotidianamente richiesti dal mondo del lavoro, sia per entrarvi sia per rimanervi. Sto dicendo migliori come esseri umani, del tutto a prescindere dalla professione, anche non senza una palpabile ricaduta su di essa, perché quando uno è migliore come essere umano sarà anche migliore professionalmente (a meno che di professione non sia un ladro, un killer o un’altra delle varie figure criminali per interpretare le quali occorre davvero essere “cattivi dentro”). Ma è possibile essere migliori come esseri umani? E prima ancora, cosa significa esattamente?
Essere migliori come esseri umani significa esercitare l’intelligenza in modo da comprendere veramente le diverse situazioni della vita acquisendo quella penetrazione e ponderazione delle cose che si chiama saggezza. Significa esercitare la volontà in modo da dirigerla a volere non il proprio scontato interesse, come fanno d’istinto coloro che sono privi di educazione morale, ma ciò che tutti riconoscono come equo e corretto, cioè la giustizia. Significa rispettare la parola data, rimanere saldi, perseverare, resistere, avere coraggio nell’aprire strade nuove, esercitando la fortezza. Significa procedere con equilibrio, centrare quel giusto mezzo che sa sì che una parola o un’azione sia, come la grande musica, “ben temperata”, praticando la temperanza.
Saggezza*, giustizia, fortezza e temperanza costituiscono le cosiddette virtù cardinali. Denominate così dalla tradizione cristiana, esse sono più antiche di secoli perché provengono dalla filosofia della Grecia classica. Esercitarle quotidianamente significa diventare migliori come esseri umani. Queste virtù, queste disposizioni della nostra energia interiore definibili “forze del bene”, ci possono rendere più saggi, più giusti, più forti, più temperanti e quindi umanamente migliori.

* Nota a piè pagina – Solitamente la prima virtù è denominata prudenza sulla base del latino prudentia, ma tale traduzione, come chiarirò, è un errore.

L’armonizzazione delle Energie

                                                                                                    CONFERENZA ONLINE                     Terzo incontro del ciclo
  “Parliamo di Energie”

martedì 23 febbraio ore 20,30-22,30 ca.

 

“Che ci piaccia o no, siamo noi la causa di noi stessi.
Nascendo in questo mondo cadiamo nell’illusione dei sensi;
crediamo a ciò che appare. Ignoriamo che siamo ciechi e sordi.
Allora ci assale la paura e dimentichiamo che siamo divini,
che possiamo modificare il corso degli eventi, …”.
(Giordano Bruno)

Negli incontri precedenti abbiamo visto come i paradigmi della scienza stanno cambiando e quanto il nuovo punto di vista sia affine a ciò che le antiche tradizioni avevano intuito.
Adesso sappiamo di essere all’interno di un campo vibrazionale di cui siamo influenzatori, rimanendone influenzati a nostra volta. In seguito a ciò, possiamo dedurre che il nostro benessere psicofisico è la conseguenza di energie più o meno sbilanciate.
Con la comprensione scientifica a supporto, nell’arco della serata parleremo di alcuni metodi che saggezze millenarie offrono come chiavi per il benessere e da essi potremo trarne spunti per il nostro riequilibrio.

Adesione  entro  domenica  21  febbraio

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Informazioni e iscrizioni: contatti

Il nostro mondo interiore è infinito

Estratto da “Anam Cara”  di John O’Donohue  – Edizioni Corbaccio ——————————————————————————————————————-

La persona umana è una soglia sulla quale si incontrano diversi infiniti. C’è l’infinità dello spazio che si distende nelle profondità del cosmo e l’infinità del tempo che ritorna indietro di miliardi di anni. Poi c’è l’infinità del microcosmo: un puntino sul pollice contiene un intero universo, così minuscolo da non essere visibile all’occhio umano; infinito microscopico e abbagliante come quello dell’universo. Tuttavia, l’infinito che assilla ciascuno di noi, e che nessuno può soffocare, e quello della nostra interiorità. Dietro il volto ciascuno è nascosto un mondo; in alcuni volti diviene visibile la vulnerabilità dell’esposizione interna a queste profondità. Guardandoli possiamo vedere la turbolenza dell’infinito che inizia raccogliersi alla superficie; può accadere nello sguardo di un estraneo o mentre parliamo con qualcuno che conosciamo bene. All’improvviso, senza che lo vogliamo o che ne siamo consapevoli, il loro sguardo si fa veicolo di una presenza interiore primordiale. È uno sguardo che dura solo un secondo in quel intimo intervallo di tempo qualcosa di più grande della persona si affaccia: un altro infinito, fino a che l’istante non ancora nato, é oscuramente presente. È come se qualcuno ci guardasse dalla singolarità dell’esterno. L’infinito che ci scruta viene da un tempo lontano. Non possiamo tenere lontano l’eterno: inatteso e perturbante, fissa lo sguardo su di noi attraverso le improvvise brecce nelle nostre vite pianificate. Un mio amico cui piacciono i pizzi dice spesso che sono i vuoti a farne la bellezza;  anche la nostra esperienza ha struttura di un pizzo.

Il volto umano effigia il mistero ed è il punto in cui il mistero della vita umana si fa palese; è il luogo in cui il mondo privato e interiore di una persona si affaccia al mondo anonimo. Mentre il resto del corpo è coperto, il volto è nudo e la sua vulnerabilità diffonde un invito profondo alla comprensione e alla compassione. Il volto umano è il luogo in cui due misteri si incontrano: l’infinito del mondo esterno e quello dell’inesplorato mondo interiore al quale solo ciascun individuo ha accesso. È il mondo notturno che si cela dietro la luminosità del viso. Il sorriso in un volto è una sorpresa o un’illuminazione: quando un sorriso lo attraversa, e come se la notte interiore di questo mondo nascosto si rischiasse all’improvviso. Heiddeger dice con splendide parole che siamo i custodi di soglie profonde e antiche. Nel volto umano cogliamo questa potenzialità e il miracolo della possibilità imperitura.

Il volto è il pinnacolo del corpo. Il nostro corpo è antico come l’argilla dell’universo di cui è impastato, e i nostri piedi sul suolo sono un legame costante con la terra; essi mettono in contatto la nostra argilla con l’antica argilla-madre dalla quale siamo originariamente emersi. Il fatto che il volto si trovi alla sommità del corpo significa l’ascesa della nostra argilla-vita nell’intimità e nell’individualità; è come se, attraverso le espressioni sempre nuove del nostro volto, l’argilla del nostro corpo si facesse intima e personale. Sotto la volta del cranio, il volto è il luogo in cui la nostra argilla-vita assume una reale presenza umana.

Il volto e la seconda innocenza
Il volto è l’icona della vita; nel volto umano un’esistenza si affaccia al mondo esterno e insieme guarda verso l’interno, a sé. È terribile vedere un volto abitato dall’amarezza e dal risentimento. Se la vita di una persona è stata triste, gran parte della sua negatività può non essere stata trasfigurata; la desolazione si impadronisce allora del volto che, invece di essere una presenza viva, si indurisce in una maschera. Uno dei termini più antichi per indicare la persona è il greco prosopon, che in origine designava la maschera indossata dagli attori nel coro greco. Quando l’amarezza, l’ira o il risentimento non vengono trasformati, il volto diviene una maschera. Qualche volta ci accade invece di imbatterci nello splendore di un vecchio volto che, profondamente segnato ed istoriato dal tempo e dall’esperienza, ha conservato una commovente innocenza. Anche se la vita è passata con il suo carico di stanchezza e pena su quelle persone, esse sono riuscite a far sì che la loro anima non venisse corrosa. Dai loro volti si diffonde nel mondo una luminosità rasserenante, gettando una luce di dolcezza che irradia un sentimento di santità e integrità.

Il volto rivela sempre chi siamo e che cosa la vita ci ha fatto. È però difficile per noi riconoscere la forma della nostra esistenza, che ci è troppo vicina: sono gli altri a poter decifrare dal nostro volto il mistero che in noi. Secondo i ritrattisti, raffigurare il volto umano è terribilmente difficile. Proverbialmente si dice che gli occhi sono la finestra dell’anima, ma in un ritratto é difficile anche rappresentare la bocca. In qualche strano modo, la linea della bocca sembra rivelare il profilo della vita; le labbra serrate spesso significano grettezza di spirito. C’è una strana simmetria nel modo in cui l’anima scrive la storia della sua vita nel disegno della faccia.

Le energie dentro l’uomo

                         CONFERENZA ONLINE                               Secondo incontro del ciclo
“Parliamo di Energie”

martedì 9 febbraio ore 20,30-22,30 ca.

Tutto è energia e questo è tutto quello che esiste.    Sintonizzati alla frequenza della realtà che desideri e non potrai fare a meno di ottenere quella realtà. Non c’è altra via. Questa non è Filosofia, questa è Fisica.
(Albert Einstein)

 

Di solito sottovalutiamo le nostre energie, ma  alla luce di  quanto osservato e considerato nel primo incontro,  sorgono domande come: “Ho solo un tipo di energia? Quante e quali sono le vibrazioni che emetto e come posso riconoscerle?”.

Scoperte recenti  in campo  medico, psicologico  e  scientifico si allineano e supportano le  conoscenze delle antiche tradizioni.

Adesione  entro  domenica  7  febbraio

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Prossimo incontro online
* L’armonizzazione delle energie – martedì 23 febbraio ore 20,30-22,30 ca.
I nostri pensieri, i nostri comportamenti e la nostra salute a volte sono la conseguenza di una energia sbilanciata. Quali possibilità abbiamo per riequilibrarci?

 

Informazioni e iscrizione: contatti