Il sé illusorio

Estratto da “Un nuovo mondo” di Eckhart Tolle – Ed. Oscar Mondadori

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La parola “io” rappresenta, a seconda di come viene usata, il più grande errore o la verità più profonda. Nell’uso convenzionale, essa non solo è una delle parole adoperate più spesso nel linguaggio (insieme alle altre a essa collegate: “me”, “mio” e “me stesso”), ma anche una delle più fuorvianti. Nell’uso comune “io” rappresenta l’errore essenziale, una errata percezione di chi siete, un senso illusorio di identità. Questo è l’ego. Questo senso illusorio del sé è ciò a cui Albert Einstein, che aveva profonde intuizioni non solo sulla realtà del tempo e dello spazio ma anche sulla natura umana, si riferiva quando parlava di “un’illusione ottica della coscienza”.

Quel sé illusorio diventa la base per ogni altro modo di intendere – o meglio di fraintendere la realtà – con tutti i processi di pensiero, interazioni e relazioni.  La vostra realtà diventa un riflesso dell’illusione originaria.

La buona notizia è: se potete riconoscere l’illusione come tale, essa si dissolve. Il riconoscimento dell’illusione è anche la sua fine. La sua sopravvivenza è legata al fatto che la confondete con la realtà. Quando vedete quello che non siete, la realtà di chi siete emerge spontaneamente. Questo è ciò che succede mentre leggete lentamente e con attenzione questo capitolo e il successivo, che trattano dei meccanismi di quel falso sé chiamato ego. E allora qual è la natura di questo sé illusorio?

Quello a cui vi riferite quando dite “io” non è quello che voi siete. Con un mostruoso atto riduttivo, l’infinita profondità di quello che siete viene confusa con un suono prodotto dalle corde vocali, o con il pensiero dell'”io” nella vostra mente e con tutto quello con cui l'”io” si è identificato. Allora a cosa si riferisce quello che comunemente viene chiamato “io” e i termini a esso collegati “me” e “mio”?

Quando un bambino piccolo impara che quella sequenza di suoni prodotta dalle corde vocali dei genitori è il suo nome, allora comincia a far corrispondere una parola, che nella mente diventa un pensiero, a ciò che lui o lei è. In questo stadio alcuni bambini si riferiscono a se stessi in terza persona. “Giovanni ha fame”. Subito dopo imparano la parola magica “io” e la fanno corrispondere al proprio nome che hanno già fatto equivalere a chi sono. Poi vengono altri pensieri e si fondano all’originario pensiero dell'”io”. Il passo successivo sono i pensieri “me” e “mio” che in un modo o nell’altro indicano cose che sono parte dell'”io”. Questa è l’identificazione con gli oggetti, che significa sì attribuire un senso alle cose, ma sopratutto ai pensieri che rappresentano queste cose. Da questa identificazione nasce così un senso di identità. Quando il “mio” giocattolo si rompe o viene portato via nasce una grande sofferenza. Non perchè il giocattolo abbia un valore in se stesso – presto il bambino perderà ogni tipo di interesse ed esso sarà rimpiazzato da altri giocattoli, altri oggetti – ma a causa del pensiero “mio”. Il giocattolo diventa parte dello sviluppo del senso del sé o dell'”io”.

Così, man mano che il bambino cresce, l'”io pensiero originario” attrae a sé altri pensieri: comincia a identificarsi con un genere, con le cose che possiede, con il corpo percepito dai sensi, con la nazionalità, la razza, la religione, la professione. Si identifica anche con i ruoli – madre, padre, marito, moglie e così via – conoscenze o opinioni accumulate, simpatie e antipatie, e anche cose che sono successe a “me”, il cui ricordo sono pensieri che definiscono ancora di più il mio senso del sé, come “me e la mia storia”: Questi sono solo alcuni degli elementi da cui la gente ricava il proprio senso di identità. Alla fine non sono altro che pensieri tenuti insieme in maniera precaria dalla caratteristica di essere investiti da un senso del sé. A questa costruizione mentale vi riferite quando dite “io”. A essere precisi, spesso quando dite o pensate “io” non siete voi che parlate, ma è qualche aspetto di quella costruzione mentale, il “sé egoico”.

Una volta risvegliati, invece, userete ancora la parola “io”, ma verrà da uno spazio interiore più profondo.

La maggior parte delle persona sono totalmente identificate con un incessante flusso mentale di pensieri incontrollati, in gran parte ripetitivi e senza senso. Non esiste un “io” separato dai propri processi mentali e dalle emozioni che lo accompagnano. Questo è il senso di essere spiritualmente inconsapevoli. Quando si spiega a queste persone che nella loro testa c’è una voce che non smette mai di parlare, vi risponderanno: “Che voce?”, oppure negheranno astiosamente, e a parlare è proprio quella voce, è colui che pensa, è la mente non osservata. Si potrebbe quasi considerarla come un’entità che si è impossessata di loro.

Alcune persone non dimenticano mai la prima volta che si sono disidentificate dai loro pensieri, sperimentando così uno spostamento di identità dall’essere il contenuto della loro mente all’essere la consapevolezza che c’è dietro. Per altre si verifica in un modo tanto sottile che se ne accorgono appena, o avvertono soltanto un afflusso di gioia o di pace interiore, senza saperne il motivo.

 

Il simbolismo della destra e della sinistra

Estratto da: “Camminate finchè avete la luce” di Omraam M. Aïvanhov – Ed. Prosveta

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La maggior parte delle tradizioni associa simbolicamente la destra al bene e la sinistra al male: quando di qualcuno si dice che cammina su una “via sinistra”, ciò sta a significare che si comporta male. Il simbolismo della destra e della sinistra lo si ritrova nelle parole di Gesù: “Quando fai l’elemosina, che la tua mano sinistra ignori ciò che fa la tua mano destra“.  Le mani agiscono sotto l’influsso della volontà. La mano sinistra e la mano destra sono l’espressione dell’attività umana.

In realtà, sia che si tratti di “avanti-indietro”, di “alto-basso” o di “destra-sinistra”, tutte le direzioni vanno bene a condizione che siano utilizzate con discernimento; le opposizioni che si sono stabilite tra loro hanno semplicemente un valore simbolico. Il linguaggio simbolico è la matematica delle idee: riassume in alcuni principi molto semplici le realtà più complesse.

Allora, cosa voleva dire Gesù quando consigliava di tenere all’oscuro la mano sinistra su ciò che fa la mano destra? Queste parole, se prese alla lettera, significherebbero che solo la mano destra è giustificata nelle sue azioni. Ora, non si può fare gran chè con una sola mano. Nella vita pratica, ci si rende conto di quanto la mano sinistra e la mano destra si completino a vicenda e agiscano in armonia.  […]

Dio ha creato l’uomo con una grande saggezza, e dal momento che lo ha dotato di due mani, come avrebbe potuto Gesù consigliare di separarle? Certo, voi mi direte che le persone non sono tanto sciocche, da prendere alla lettera le parole di Gesù. D’accordo, non le prendono alla lettera…Ma allora, come le prendono?

Alcuni hanno visto nelle due mani la rappresentazione dell’intelletto e del cuore, e ne hanno concluso che l’intelletto non debba immischiarsi negli affari di cuore. No, non è la giusta interpretazione. Il cuore, con i suoi desideri, le sue passioni e i suoi capricci, potrebbe opporsi a progetti che sono saggi e ragionevoli, e quindi l’intelletto deve intervenire per illuminare il cuore. Quanto all’intelletto, questo può essere freddo, arido, rigido, e allora il cuore deve dire la sua per riscaldarlo, addolcirlo e renderlo più conciliante.

In realtà, la mano destra e la mano sinistra menzionate da Gesù rappresentano  le due nature dell’essere umano: la natura superiore e la natura inferiore. Quando la mano destra (la natura superiore) vuole agire, vuole cioè “fare l’elemosina” (espressione questa che deve essere compresa nel senso più vasto, ossia come “fare il bene”), deve mostrarsi prudente, affinchè la mano sinistra (la natura inferiore) non intervenga opponendo degli ostacoli. […] Non soltanto la mano destra deve dar prova di intelligenza per mettere a punto i progetti migliori, ma deve anche stare attenta a proteggerli dalle manovre della mano sinistra.

Se la mano sinistra (natura inferiore) non deve sapere ciò che fa la mano destra (natura superiore), è necessario invece che la mano destra conosca i progetti della mano sinistra per poterne sventare i tranelli.  La natura inferiore è incessantemente occupata a fomentare attività losche, il che costringe la natura superiore a rimanere costantemente vigile per osservare cosa succede e, all’occorrenza intervenire per ristabilire l’ordine. Chi sta più in alto deve sapere ciò che accade in basso. […]

Studiate bene le relazioni che esistono in voi tra la natura inferiore e la natura superiore. Avete preso delle buone risoluzioni… vi siete detti che è tempo di cambiare certe vostre abitudini… avete in progetto di aiutare qualcuno… Sappiate che la vostra natura inferiore è lì che vi sorveglia e di dà dei suggerimenti, vi manda delle tentazioni per distogliervi. Oppure aspetta il momento opportuno per prendersi la rivincita. […]

Dunque, è chiaro: la mano destra e la mano sinistra non rappresentano l’intelletto e il cuore, bensì la natura superiore e la natura inferiore che si manifestano sia attraverso l’intelletto sia attraverso il cuore. Quando la natura superiore in voi fa dei progetti, la natura inferiore non deve esserne avvertita. Cercate di addormentarla, oppure approfittate dei momenti in cui è assopita o distratta, altrimenti si scaglierà contro quei buoni progetti e cercherà in tutti i modi di impedirne la realizzazione. Vi sussurrerà: “Ma non c’è nessuna fretta… Hai tutto il tempo… Potresti startene così tranquillo!… Perchè ti affanni tanto?”

Ed è così che, venuto il momento, non avrete più tanto slancio e tanta convinzione, e abbandonerete quei progetti.

 

Il silenzio – Pablo Neruda

Ora conteremo fino a dodici
e restiamo tutti quieti.

Per una volta sulla terra
non parliamo in nessuna lingua,
per un secondo fermiamoci,
non muoviamo tanto le braccia.

Sarebbe un minuto balsamico,
senza fretta, né locomotive,
saremmo tutti uniti
in un’inquietudine istantanea.

I pescatori del freddo mare
non porterebbero danno alle balene
e il lavoratore del sale
guarderebbe le sue mani rotte.

Quelli che preparan nuove guerre,
guerre di gas, guerre di fuoco,
vittorie senza sopravvissuti,
indosserebbero un abito puro
e camminerebbero coi loro fratelli
nell’ombra, senza far nulla.

Non si confonda ciò che voglio
con l’inazione definitiva:
la vita è solo ciò che si fa,
non voglio saperne della morte.

Se non potemmo essere unanimi
muovendo tanto le nostre vite,
forse non far nulla una volta,
forse un gran silenzio
potrà interrompere questa tristezza,
questo non intenderci mai,
e minacciarci con la morte,
forse la terra c’insegnerà
quando tutto sembra morto
e poi tutto era vivo.

Ora conterò fino a dodici,
tu tacerai e io me ne andrò.

 

– Testo in lingua originale –

El silencio

Ahora contaremos doce
y nos quedamos todos quietos.
Por una vez sobre la tierra
no hablemos en ningún idioma,
por un segundo detengámonos,
no movamos tanto los brazos.

Sería un minuto fragante,
sin prisa, sin locomotoras,
todos estaríamos juntos
en una inquietud instantánea.

Los pescadores del mar frío
no harían daño a las ballenas
y el trabajador de la sal
miraría sus manos rotas.

Los que preparan guerras verdes,
guerras de gas, guerras de fuego,
victorias sin sobrevivientes,
se pondrían un traje puro
y andarían con sus hermanos
por la sombra, sin hacer nada.

No se confunda lo que quiero
con la inacción definitiva:
la vida es sólo lo que se hace,
no quiero nada con la muerte.

Si no pudimos ser unánimes
moviendo tanto nuestras vidas,
tal vez no hacer nada una vez,
tal vez un gran silencio pueda
interrumpir esta tristeza,
este no entendernos jamás
y amenazarnos con la muerte,
tal vez la tierra nos enseñe

Ahora contaré hasta doce
y tú te callas y me voy.

Pablo Neruda