Magia nelle parole

 

La conversazione cambia il modo in cui vediamo il mondo, e cambia anche il mondo.            Theodore Zeldin  – 2002

CONFERENZE

  Tre incontri a tema

Le parole possono scavare  solchi  profondi  o  far  germogliare  gioia  dentro  di  noi:   lo sperimentiamo ogni giorno. Tutto ciò ci fa capire come le parole abbiano davvero il potere di creare o modificare la nostra giornata, ma che possano addirittura cambiare la nostra vita sembra assurdo. Questo invece è quanto le saggezze di ogni epoca e luogo dicono e anche la psicologia, oggi, riconosce l’importanza delle parole e la potenza insita in esse.

Le parole sono come incantesimi che imprigionano o liberano. Come riuscire a non lasciarci incatenare o a renderci liberi da esse? È possibile mettere in atto un’ecologia della parola?

In  questi  incontri,  osserveremo  gli  effetti  delle  abitudini  comunicative  per meglio comprendere il nostro linguaggio, per infondere valore e significato a ciò che diciamo e nel contempo dare il giusto peso a quanto ascoltiamo.

  •  Il libro della Legge – Noi nasciamo con la capacità di imparare, in una realtà che è creata dalla nostra famiglia, dalla nostra comunità e dalla società. Cosa e come apprendiamo?  Qual è il nostro Libro della Legge?
  •  Gli accordi –   Parliamo di noi, ripetendo parole altrui, frasi che ormai si sono consolidate come il nostro “pensiero automo”, di cui siamo fermamente convinti e che limitano la nostra autenticità. È possibile cambiare quella che definiamo realtà su noi stessi, per modificare ciò che si reitera nella nostra vita?
  •  La forza della Parola – Esistono strumenti che ci permettono di entrare in relazione con gli altri in modo chiaro. Cambiare il linguaggio permette di modificare il nostro mondo e la nostra visione su di esso. Cosa significa ecologia in questo ambito?

Calendario incontri

Lo specchio affumicato

Estratto da: “I quattro accordi” di Don Miguel Ruiz – Ed. Il punto di incontro

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Tremila anni fa, c’era un essere umano come voi e me che viveva vicino a una città circondata di montagne. Studiava per diventare un uomo della medicina. Voleva imparare la conoscenza dei suoi antenati, ma non era totalmente d’accordo con le cose che studiava. Sentiva nel cuore che doveva esserci qualcosa di più.

Un giorno, mentre dormiva in una grotta, sognò di vedere il proprio corpo addomentato. Uscì dalla grotta in una notte di luna nuova. Il cielo era sereno e c’erano milioni di stelle. Poi gli accadde qualcosa che trasformò la sua vita per sempre. Si guardò le mani, sentì il proprio corpo e udì la propria voce dire: “Sono fatto di luce. Sono fatto di stelle”.  Guardò di nuovo le stelle e si rese conto che non sono le stelle a creare la luce, bensì è la luce che crea le stelle. “Tutto è fatto di luce” disse ” e lo spazio tra le cose non è vuoto”. Seppe che tutto ciò che esiste è un unico essere vivente e che la luce è la messaggera della vita, perchè è viva e contiene ogni informazione.

Quindi si rese conto che, benchè fosse fatto di stelle, lui non era le stelle. “Io sono ciò che è tra le stelle”, pensò. Allora chiamò le stelle tonal e la luce tra le stelle nagual; seppe che ciò che crea l’armonia e lo spazio tra loro è la Vita, o Intento. Senza vita, il tonal e il nagual non potrebbero esistere. La vita è la forza dell’assoluto, è il supremo, il Creatore che crea ogni cosa.  Ecco ciò che scoprì quell’uomo: tutto ciò che esiste è una manifestazione dell’essere vivente unico che chiamiamo Dio. Inoltre, arrivò alla conclusione che la percezione umana è luce che percepisce altra luce. Vide che la materia è uno specchio (ogni cosa è uno speccio, che riflette la luce e crea immagini di quella luce) e il mondo dell’illusione, il Sogno, è come fumo che non ci permette di vedere ciò che viamo veramente. “Il nostro vero sé è puro amore, pura luce” disse.

Questa scoperta cambiò la sua vita. Ora sapeva chi era veramente e, guardando gli altri uomini e la nautra, restò stupito di vedere se stesso in ogni essere umano, in ogni animale, in ogni albero, nell’acqua, nella pioggia, nelle nuvole e nella terra. Vide che la Vita mescolava il tonal e il nagual in modi diversi, creando miliardi di manifestazioni viventi.  In quei pochi momenti comprese tutto. Era molto eccitato, ma il suo cuore era pieno di pace. Non vedeva l’ora di comunicare al suo popolo ciò che aveva scoperto. Ma non c’erano parole con cui potesse spiegarlo. Ci provò, ma gli altri non lo capirono. Potevano vedere che qualcosa in lui era cambiato, che i suoi occhi e la sua voce irradiavano bellezza. Notarono che non giudicava più nulla e nessuno e che era diverso. Quell’uomo capiva tutti, ma nessuno capiva lui. Credettero che fosse un’incarnazione di Dio.                       Lui sorrise e disse: ” È vero, io sono Dio. Ma anche voi lo siete. Noi siamo la stessa cosa. Siamo immagini di luce. Siamo Dio” . La gente però continuava a non capire.   Aveva scoperto di essere uno specchio per gli altri, uno specchio in cui poteva vedere se stesso. “Tutti siamo specchi” disse. Vedeva se stesso in tutti, ma nessun altro vedeva se stesso in lui. Allora si rese conto che tutti erano immersi in un sogno, ma senza consapevolezza senza sapere ciò che erano veramente. Non potevano vedersi in lui, perchè tra gli specchi esisteva un muro di nebbia, composto dalle interpretazioni delle immagini di luce che costituivano il Sogno degli esseri umani.

Allora seppe che presto avrebbe dimenticato ciò che aveva imparato. Tuttavia voleva ricordare le visioni che aveva avuto e si diede il nome di Specchio Affumicato, in modo da sapere sempre che la materia è uno specchio e il fumo che separa gli oggetti è ciò che ci impedisce di sapere chi siamo. Disse.” Io sono lo Specchio Affumicato, perchè vedo me stesso in tutti voi, ma non possiamo riconoscerci a causa del fumo che si separa. Questo fumo è il Sogno e lo specchio siete voi: i sognatori”.

Itaca

Estratto da: “Il bisogno di pensare” di Vito Mancuso – Ed. Garzanti

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( prima parte – Pensanti o non-pensanti)

(seconda parte)

Io appartengo a quegli esseri umani che hanno bisogno di pensare, e sottolineo bisogno, non necessità. Nel linguaggio ordinario i due termini sono sinonimi, indicano l’urgenza di procurarsi qualcosa che manca e che serve, o anche di sbarazzarsi di qualcosa che grava e procura disagio, come quando diciamo di avere “un bisognino”. Ma io qui li distinguo, intendendo la necessità come un’urgenza che nasce da fuori, da una realtà esterna al soggetto e che gli si impone, e che per questo è fredda, severa, meccanica; e intendendo il bisogno come un’urgenza che nasce da dentro e che lo rende strettamente imparentato con il desiderio, e che per questo è caldo, ardente, potenzialmente creativo. Riprendo, in altri termini, la differenza posta da Aristotele tra cose necessarie e cose buone, laddove le prime vengono amate per causa di altro in quanto servono alla vita (per esempio, il denaro), mentre le seconde vengono amate per se stesse, “anche qualora non ne derivi nulla di diverso” e per questo “devono essere dette buone in senso proprio” (per esempio, la foresta o il mare). E benché secondo i filologi l’assonanza sogno-bisogno non abbia nessun fondamento etimologico (perchè sogno viene dal latino, mentre bisogno dall’antico germanico), rimane tuttavia che rispetto alla necessità che esprime la voce della dura realtà il bisogno è più vicino al sogno e alla sua capacità di generare utopia.

In quanto essere umano dotato del bisogno di pensare perchè attratto dal sogno di una vita diversa e migliore, io ritengo essenziale affrontare la questione del perchè si vive, soprattutto nel senso finale cui l’avverbio perché rimanda: a mio avviso si tratta della condizione indispensabile per dar sì che il nostro passare su questa terra risulti un viaggio e non un disordinato vagabondaggio. Vi ripresento quindi la domanda: perché vivete? Quale scopo date al vostro essere qui? Cosa volete da voi stessi? Dove traete l’energia per camminare in equilibrio sulla fune della vita?

Io sono convinto che questa vita sia per tutti un’odissea, ma che un conto sia avere un’Itaca nel cuore e nella mente, un altro l’esserne privi. Si può vivere senza Itaca?  Ognuno risponda da sé, io vedo che alcuni vi riescono senza problemi e senza patemi, anzi, persino con un senso accresciuto di leggerezza e di libertà. Quanto a me, non vi riesco […] La questione non è né accademica né salottiera, ma privata, esistenziale. La pongo con la consapevolezza di trovarmi in un ambito dove non è possibile recitare, di fronte al compito di esistere al cospetto di se stessi, giorno dopo giorno, anno dopo anno […]

Qui intendo indagare il criterio in base a cui mi alzo la mattina, oriento le mie scelte, dico di sì e dico di no, accetto una proposta e ne rifiuto un’altra, coltivo un’amicizia, imposto le mie relazioni, scelgo o non scelgo di fare o non fare qualcosa. Mi chiedo tutto ciò al cospetto della quotidianità in cui si scandisce la mia esistenza. Scoprire  cosa veramente voglio è essenziale per scoprire chi veramente sono. Il mio desiderio mi definisce. La mia Itaca detta la rotta.

Pensanti e non-pensanti

Estratto da: “Il bisogno di pensare” di Vito Mancuso – Ed. Garzanti

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Quanti  anni  avete?  Diciassette,  ventuno, cinquantacinque, ormai quasi sessanta, o forse sono già ottanta?  Qualunque età abbiate, io vi chiedo qual è il vostro punto di orientamento in questa vita che scorre, che viene da una bianca sorgente che non conosciamo  e  va  verso  un mare nero che conosciamo ancor meno.  Io, alla mia età, ancora mi chiedo  a  cosa  affidarmi per trovare  direzione  e  sostegno,  perché  di  un sostegno ho bisogno, questo è sicuro, questo lo sento, a volte con un dolore sottile e penetrante che mi pervade tutto il corpo, specialmente la sera.  Anche  voi  l’avvertite  talora,  o  non  sapete neppure di cosa parlo? Mi capite, o pensate che io sia solo un disadattato cui concedere un sorriso di circostanza?

A prescindere però dall’impressione che vi faccio, la mia domanda rimane. Dopo aver scoperto  il principio della leva Archimede dichiarò: “Datemi un punto di appoggio e solleverò il mondo”. Ebbene io vi chiedo: quale punto di appoggio avete per sollevare il vostro mondo dalle bassure dell’esistenza quotidiana? Oppure non ve ne curate? Oppure preferite stare bassi, rasoterra, a volte persino strisciare, perchè si fa meno fatica e non c’è pericolo di cadere?

Voi mi direte di farmi i fatti miei. Io però insisto e pongo la questione anche dal punto di vista dinamico chiedendo: lo sai in base a cosa ti muovi? Lo sai verso quale scopo dirigi la tua energia vitale?  Sei consapevole del metodo con cui affronti la vita e del fine che vi persegui?  Lo sai qual è il criterio del tuo procedere in equilibrio sulla fune della vita?  Alcuni considerano questi discorsi filosofemi irritanti, altri si sentono sprofondare nella noia al solo sentirli. Conosco l’obiezione: “Vivere! A me basta vivere, seguire il mio istinto e quello che mi va! Che me ne faccio di tutte queste teorie?”. Molti la pensano così, l’aveva già osservato Goethe quando scrisse a proposito della vita: “Tutti la vivono, non molti la conoscono”. Schopenhauer al suo solito era ancora più tagliente: “Se si considera attentamente quanto grande e palese sia per noi il problema dell’esistenza, di questa esistenza ambigua, tormentata, fuggevole e simile al sogno[…] e se poi si osserva come tutti gli uomini – tranne alcuni pochi e rari – sembrano non rendersi conto di questo problema, anzi non esserne affatto cosapevoli, bensì preoccuparsi  di tutto meno che di esso […] se si riflette bene a ciò, io dico, si può cominciare a credere che l’uomo si chiami essere pensante soltanto in un senso assai lato della parola”.

Non c’è nulla di strano quindi, anzi nulla di originale, nel fastidio provato da molti di fronte al tentativo di indagare il senso del nostro essere qui: per chissà quante migliaia di anni siamo stati raccoglitori e cacciatori, e anche adesso lo siamo, raccogliamo e cacciamo denaro-piaceri-emozioni nutrendo in questo modo il nostro istinto vitale. Così è del tutto secondo copione che per alcuni le filosofie e le spiritualità siano solo una seccatura, e che esista unicamente la voglia di vivere e basta, senza tanti pensieri.

Per qualcuno però non è così. Sarebbe interessante chiedersi come mai. Come spiegare questa distinzione tra chi si pone le domande esistenziali e chi no? Io non so cosa rispondere […] Mi vengono in mente le parole di Norberto Bobbio, quando, cogliendo a sua volta questa linea di divisione che attraversa il genere umano, affermò che secondo lui “la differenza rilevante non passa tra credenti e non credenti, ma tra pensanti e non pensanti”.

( SECONDA PARTE – ITACA )

Il sentire

Estratto da: Le emozioni che curano  di Erica Francesca Poli – Ed Mondadori

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Sentire: parola che evoca esperienze, e altrettante domande. Parola che dice quel che non si può dire fino in fondo, quel che non si può esprimere del tutto, si può sentire soltanto. E quando lo si sente, è vero, senza bisogno di commento, senza se e senza ma.
Il sentire è la via più potente attraverso la quale diamo senso alla nostra vita ed è anche ciò da cui maggiormente ci difendiamo.
Il dizionario, alla parola “sentimento”, suggerisce un volo di concetti che plana dal versante degli affetti al crinale del carattere e dell’etica. È interessante notare come l’espressione “lasciarsi guidare dal sentimento” intenda quest’ultimo in contrapposizione alla ragione, mentre in Boccaccio come in Dante il sentimento è la coscienza: ”Che balenò una luce vermiglia / la qual mi vinse ciascun sentimento; / E caddi come l’uom cui sonno piglia” (Divina Commedia – Inf. III vv 134-136).
In fonti ancora più antiche il sentimento era l’atto del sentire, quindi riconducibile anche ai sensi, eppure al contempo collegato al senno, al dominio di sé, come se in origine, quando res cogitans e res extensa non erano state ancora separate, sentire con i sensi e avere padronanza di sé fossero un tutt’uno: era con pienezza di sentimenti che nell’Ottocento si scrivevano i testamenti…
Il plurale del sentimento si sfrangia nei colori dell’amore, dell’odio, dell’amicizia, ma a volte trascina con sé anche le emozioni, fino a dare sostanza a un modo di pensare e di sentire, a “tonalizzare”, se così si può dire, il carattere.
Le dita lunghe del sentimento si spingono sino al divino, quando la fede si definisce sentimento di Dio, e scendono al centro della coscienza con il “semplice sentimento dell’esser proprio” di Leopardi ((Dialogo di un fisico e di un metafisico – Operette morali).
Questo breve excursus, certo non esaustivo, mostra tuttavia la complessità semantica del sentire, che è insieme sensazione, moto affettivo, emotività, coscienza di sé e capacità dell’animo di percepire il reale.
È il sentire, più di ogni altra facoltà, che comprende le dimensioni del nostro esistere.
Il sentire non è cieco, ha un’intelligenza propria, differente da quell’intelligenza che attribuiamo al pensiero logico deduttivo o razionale. Ha un’intelligenza diffusa tra la mente, il cuore e il corpo nella sua interezza, espansa e intuitiva.
Il sentire è vivo, è qui, ora, inevitabilmente, poiché quando immagini un evento futuro che ti comunica emozioni, quel che senti lo senti comunque adesso.
Il sentire guida le decisioni più di quanto pensiamo, plasma persino il cervello.

[…] È così che biochimica, neuroscienze, psicologia, antropologia, etologia, ma anche storia, cultura, religione, arte si collegano, dialogano, dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto, dal pensiero al corpo e viceversa, in una danza di risonanze che rende tutto, a guardarlo nell’insieme, così incredibilmente pregno di senso e di bellezza, di umanità e di trascendenza.
Questo movimento di connessioni è il cuore stesso del potere che hanno e del ruolo che le emozioni svolgono dentro di noi, e ha la qualità per fare da ponte, e non si limita a unire due punti, li fa diventare un sistema dinamico, creando il dialogo del loro stesso divenire.
Arduo se non impossibile separare cervello, mente, corpo dalle emozioni che li animano, difficile studiare le emozioni senza dover fluire tra alto e basso, destra e sinistra, tra cervello corticale e sottocorticale, tra mente e corpo, tra un emisfero e l’altro poi tra cuore, cervello, viscere, pelle, occhi, sensi e di nuovo pensieri, parole, immagini e sentimenti.
E la meraviglia è che non possiamo tracciare un confine netto che separi l’una cosa dall’altra, la scienza ci ha provato per secoli e la storia della scienza è anche la storia di uno spostamento continuo del limite di ciò che possiamo definire.
La verità del sentire è che è composto di tutto questo e di molto, molto di più, e di esso nulla può davvero essere compreso come un pezzo a sé stante, e così è esattamente l’individuo. […]

Le emozioni influenzano le nostre decisioni, i pensieri, la biochimica del nostro corpo, le risposte del sistema immunitario, persino lo sviluppo del nostro cervello quando siamo piccoli e la neuroplasticità del sistema finché siamo vivi.
Così come lutti gravi, traumi violenti, abbandono, possono distruggere individui e segnare intere famiglie, allo stesso modo esperienze emotive di riparazione, quali che siano, possono catalizzare un processo che possiamo davvero definire di “guarigione” se con essa intendiamo il ripristino della forza vitale che anima un individuo, dell’armonia dei suoi sistemi, della visione d’insieme che permette di riconoscere la forma dell’elefante al di là delle sue parti e ne ritrova il senso.
Le emozioni sono al crocevia di tutto questo: il potere trasformativo e curativo che respira nel poterle sentire e vivere per ciò che sono, intensamente e liberamente, è incommensurabile. Esso sposta il limiti di ciò che è vivibile, oltre quello che la logica crede. Se lo puoi sentire e accogliere, allora lo puoi affrontare.
[…] Nessuno di noi potrà mai sfuggire a se stesso, ed è con noi stessi che trascorriamo la nostra vita. Le emozioni possono rendere questo viaggio con il nostro sé infernale o piacevole o persino meraviglioso, nonostante gli ovvi e inevitabili rovesci che prima o poi tutti sperimentiamo. […]

Le emozioni si collegano alle dimensioni più astratte della mente come le cognizioni, alle declinazioni della volontà come le decisioni, tanto quanto a ciò che di più fisico abbiamo, esse si trovano al punto d’incontro di mente, cervello e corpo e li rendono inseparabili.  […]
Ciò che a me pare più importante, in questa sede, è cominciare a considerare che la tua vita, le tue scelte, quello in cui credi e che pensi sia assai più connesso alle tue emozioni di quanto immagini, e che queste emozioni parlino di un te che è ancestrale, precedente la tua razionalità, inconscio, embodied, cioè completamente incarnato, impastato di soma.
Hai un cervello emotivo che è un cervello nel cervello, antico, istintivo, animale, in relazione costante con altri cervelli del tuo corpo, quello del cuore e dell’intestino e quello di ogni cellula, oltre che essere mediato dalle attivazioni o disattivazioni del sistema nervoso autonomo, dai flussi endocrini e dalle risposte immunitarie.
In ogni istante, anche adesso, mentre leggi, la tua vita è uno sforzo costante di simbiosi tra la psiche, i pensieri, i desideri, il tuo cogito ergo sum e questo mondo, che dice sentio ergo sum al di sotto della corteccia cerebrale e al tempo stesso in comunicazione con essa, che è intriso di emozioni.
Questa natura emozionale parla un linguaggio dentro di te che non è fatto di parole, ma di sensazioni e immagini. Non lo puoi costringere a fare quello che la tua razionalità vuole. Segue le proprie leggi istintuali. È pieno di forza, gestisce tutto il tuo organismo, fa battere il tuo cuore, ti fa respirare, gestisce i tuoi ormoni. Ti permette di essere qui a pensare. Custodisce anche i meccanismi segreti dell’alchimia delle sostanze, dei neuropeptidi, e ha più probabilità di aiutarti a stare bene o a guarire di quanto non ne abbia tu con i tuoi discorsi. È vicino alla vita della natura, è il tuo cuore selvaggio. Racconta le tue esperienze dell’infanzia e persino quel che è accaduto prima di ciò che tu puoi ricordare. Inoltre, attraverso il tuo DNA, porta con sé anche i doni o le ferite dell’evoluzione della specie e della tua genealogia.
Tu sei il frutto di questo processo: quando dici “io sono”, stai dicendo io sono le emozioni che hanno plasmato la mia specie, la mia genealogia, il mio mondo infantile, lo sviluppo del mio cervello, del mio sistema nervoso, delle mie stesse cellule in associazione con l’ambiente, il cibo, l’acqua e l’aria che ho introdotto in me. Potrebbe sembrare quasi eccessivo, ma quello che abbiamo compreso è che davvero le emozioni rivelano meglio di qualsiasi racconto chi siamo noi e come reagiamo alla vita.

[…] Allora, quando tu, lettore o lettrice, dici che vuoi cambiare qualcosa della tua vita, e pensi a come fare, stai vedendo solo la punta di un iceberg, e dovrai fare i conti con la sua parte sommersa fatta di tutto quello che abbiamo chiamato emozioni, programmi affettivi, matrici innate e automatiche plasmate dall’esperienza dei primi anni di vita. E se pensare di non curarsene potrebbe procurarti uno scontro rovinoso come quello del Titanic, al contrario comprendere che è a questa parte sommersa che devi rivolgere la tua attenzione ti metterà in condizione di disporre del potere più grande che è nella forza delle emozioni.
Sentirle, incontrarle, attraversarle, sperimentarle primariamente nel corpo, dare loro un nome, quindi comprenderle nei molteplici significati che veicolano e utilizzarle come strumenti di consapevolezza di sé, dell’altro, della relazione, della malattia e della salute: questo è il percorso che può condurre dalla prigione dei copioni, che non vuoi ma che si ripetono, alla libertà di chi affronta quel che sente e quel che accade nel pieno delle facoltà che è possibile ottenere da questa strana commistione di anima e corpo che siamo.